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Filippo Pacini: grande scienziato e … Massone

FILIPPO PACINI: GRANDE SCIENZIATO E … MASSONE

di Paolo Baldassarri - Presidente del Conservatorio di S. Giovanni Battista

Come è noto Filippo Pacini nacque a Pistoia (25 maggio 1812) e morì a Firenze (9 luglio 1883). Per questo Pistoia lo ha commemorato lo scorso anno (bicentenario della nascita) con varie attività e con il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e della Regione Toscana.

Da giovane Pacini entrò in seminario e poi frequentò il Liceo Classico così da accedere, a 18 anni, alla scuola Medica che esisteva allora nel nostro Ospedale del Ceppo. Ancora, all’inizio degli studi medici (1835) identificò i corpuscoli tattili, detti poi, dopo molto tempo, corpuscoli del Pacini. Dopo i primi anni di studi si trasferì all’ università di Pisa dove si laureò in Medicina prima e chirurgia l’anno dopo assumendo l’incarico di dissertore di Anatomia comparata, ovvero aiuto del docente cattedratico. Nella sua vita accademica subì molti contrasti che qui non sto ad accennare ma che alla fine furono quasi tutti risolti con soddisfazione del Pacini e della scienza medica in generale. Tuttavia lo scienziato non ebbe tutto quello che meritava. Basti pensare che gli furono negati diversi riconoscimenti e nel 1881 non gli fu concesso il premio dei Lincei per le scienze biologiche cui teneva molto anche per motivi economici. Morì povero a Firenze e solo dopo la sua morte i suoi meriti vennero riconosciuti, anche dai suoi detrattori in vita, con ipocrite manifestazioni di cordoglio e altrettante di stima che lui, vivo, certamente avrebbe rifiutato. Comunque il celebre anatomista patologo vide e disegnò  per primo il vibrione che nel 1884 fu descritto da Robert Koch come l’agente patogeno del colera. Fin qui tutte cose che sappiamo di Filippo Pacini, ma c’è un particolare della sua vita che pochi conoscono e cioè che il Pacini, come molti medici e personalità di allora, era iscritto alla Massoneria (che come sappiamo è una associazione o meglio istituzione iniziatica e di fratellanza a base etica e morale) fino dall’anno 1862 e la Loggia di appartenenza era la Loggia Concordia all’Oriente di Firenze. Questa Loggia, istituita nel 1861,si era rivelata, all’epoca, luogo di attrazione per esponenti dei più diversi ceti sociali: possidenti, liberi professionisti, impiegati, artigiani e artisti. Spiccava anzitutto la qualificata rappresentanza del mondo medico, guidata da Carlo Bucci, chirurgo illustre, dal 1865 senatore e dal 1871 presidente del Consiglio superiore di Sanità del Regno d’Italia. Si erano poi iscritti, tra gli altri, Giacomo Castelnuovo, nel 1860 nominato medico onorario e consulente di Vittorio Emanuele II e il nostro Filippo Pacini. Ad essi si sarebbe unito nel luglio 1863 altra celebrità medica del tempo, Ferdinando Zanetti, il chirurgo patriota che nel 1862 estrasse la pallottola dalla gamba di Garibaldi ferito in Aspromonte. Da mie ricerche risulta che Filippo Pacini, il cui ritratto ha vissuto assieme a me nell’ufficio di Presidenza per quasi trenta anni durante la mia dirigenza dell’Istituto Tecnico che prende appunto il suo nome e che con il suo nome fu fondato nel 1917, ebbe una “carriera” massonica di rilievo: iniziato “apprendista” nel 1862, fu promosso “compagno” e poi “maestro” nello stesso anno. Altra nota importante da segnalare è questa: in quegli anni i massoni erano più che mai anticlericali ma Filippo Pacini, alla sua morte, volle e ottenne il funerale religioso. Nell’anno 1935 la salma fu trasferita insieme con quelle di altri illustri anatomici pistoiesi, tra i quali Filippo Civinini e Atto Tigri, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, alias Chiesa della Madonna del Letto, dove riposa ancora vicino alla Scuola Medica della sua città che lo vide nascere.

Bibliografia essenziale:

- F. Conti: FIRENZE MASSONICA ed Polistampe Firenze 2012

- L. Castaldi: Tre illustri anatomisti pistoiesi: Filippi Pacini, Filippo Civinini, Atto Tigri. Pistoia 1924

- G.C. Niccolai: In memoria di Filippo Pacini nel 50 della Accademia Medica Pistoiese. Pistoia 1978

- L. Castaldi: Filippo Pacini nel 50° della morte, Pistoia 1933

Il pavimento a scacchi

Il pavimento a scacchi

La tavola architettonica tracciata da noi apprendisti della Loggia Ferruccio, per questa speciale occasione della ricorrenza del centocinquantesimo anniversario della fondazione, ha come argomento il tema del pavimento a scacchi.

Quando ci è stato affidato questo compito, non nascondo che ci siamo trovati momentaneamente in difficoltà, anche per “legare” il significato di questo simbolo alla ricorrenza che questa sera celebriamo insieme.

Ebbene, il lavoro di analisi che abbiamo svolto ci ha invece condotto a scoprire la stretta affinità di questo simbolo con la realtà nella sua completezza, con la nostra vita quotidiana e la storia di ognuno di noi che costruiamo giorno dopo giorno seguendo principi ed ideali immutabili nel tempo.

Come noto il pavimento a scacchi rappresenta uno dei simboli più evidenti che caratterizzano il tempio. A quadri alternativamente bianchi e neri, come le caselle di una scacchiera, si estende più frequentemente a forma di quadrilatero con il lato maggiore orientato lungo l’asse Oriente-Occidente, più raramente copre tutto il pavimento dell’Officina, a partire dalla porta del Tempio.

A favore della prima soluzione, oltre a motivazioni di carattere pratico, vi è anche una ragione di carattere simbolico.

Infatti, la suddivisione in due zone che si viene a creare nel pavimento di Loggia, ovvero una centrale, delimitata dai quadrati bianchi e neri che rappresenta la possibilità di manifestazione e l’altra restante parte che può simboleggiare la possibilità di non manifestazione, conferisce al pavimento nella sua interezza un ulteriore significato simbolico, rappresentando un’immagine della Possibilità universale (della manifestazione e della non manifestazione), conferendo così alla Loggia un’apertura veramente metafisica.

Quando si entra in un Tempio massonico, in particolare se racchiuso dalla penombra, la percezione del pavimento a scacchi è sovente la prima che colpisce i nostri sensi, quasi come se il contrasto tra il bianco e il nero fosse in grado di turbare, seppur momentaneamente, l’armonia che accompagna l’ingresso rituale in Loggia. Contrasto ancor più nitido in piena luce, quando la squadratura del Tempio ricorda il percorso effettuato sul margine di uno spazio dinamico in continuo divenire.

Il pavimento a scacchi genera emozioni ed incute turbamenti in quanto è uno dei simboli massonici più potenti e riconoscibili. Nel primo grado iniziatico rappresenta il pavimento del Tempio di re Salomone, dove continua il binario delle due colonne sulla Terra, cioè sul mondo materiale, di cui fa parte la natura terrestre dell’uomo, e si pone in contrasto con il soffitto del Tempio, che raffigura il cielo e il regno spirituale, quindi la natura eterea.

La caratteristica del pavimento a scacchi è insita nella sua dualità, nei due colori della scacchiera, che alludono simbolicamente alla conflittualità che contraddistingue l’anima umana, condannata a combattere se stessa e la sua natura.

La contrapposizione  tra opposti e complementari compendia la vita umana, dal momento che il Massone, così come il profano, è sottomesso ai rigori della legge delle polarità.

Bene e Male, Tenebre e Luce, Vizio e Virtù, sono intrecciate sul pavimento e tenute insieme dalle file delle piastrelle, in un sistema in cui ciascuna piastrella è circondata da altre di colore contrario. Da un punto di vista esoterico, se ci si attiene al bianco si è assaliti da ogni lato da forze oscure mentre, se il riferimento è il nero, accade il contrario.

L’alternarsi dei due colori rappresenta in sé tutte le coppie possibili, che nella loro armoniosità esprimono altresì la quiete, evocando l’equilibrio dei contrari: il contrasto affiora al primo impatto sensoriale, l’armonia si palesa allo spirito in un secondo momento e sottintende la duplice condizione in cui vive l’uomo: il materialista vede la molteplicità e le differenze, lo spiritualista percepisce l’equilibrio, l’omogeneità e l’unità che pervade tutte le cose.

I sottili tratti che separano le piastrelle formano un cammino rettilineo che ha il bianco e il nero ora a destra, ora a sinistra: queste linee virtuali rappresentano il cammino dell’iniziato il quale, senza rigettare la morale comune, sa elevarsi al di sopra di essa. Il profano non distingue queste sottili linee di separazione e seguendo la via più ampia, quella exoterica, passa direttamente e disordinatamente sulle piastrelle bianche e nere, indugiando nell’incertezza. Questa visione esteriore del binario attribuisce al bianco, la luce, esclusivamente il valore del bene, mentre il nero, assenza di luce, diviene il male; una simile percezione delle opposte polarità genera tendenzialmente predisposizioni passionali, intransigenti e dogmatiche che possono arrivare fino all’intolleranza, all’odio e alle guerre. Un approccio diverso, massonico, al pavimento a scacchi comporta che ciò che è nero e negativo possa essere visto come bianco e positivo, così che ogni elemento del binario, cioè ogni piastrella, racchiuda il suo contrario, come nel simbolo dello Yin/Yang. L’opposizione è pertanto un presupposto del divenire perché i contrari possono sempre sostituirsi gli uni agli altri sulla base di una riconciliazione superiore che è quello dell’Essere Supremo.

In questo modo il passaggio o i passaggi dell’anima dalla morte alla vita, alla ricerca della perfezione e dell’affinamento spirituale, evocano il rapporto tra temporaneità ed eternità, dunque il motivo centrale dell’iniziazione; la vittoria sulla morte materiale e la congiunta esperienza dell’eterno.

Che tutto nasce, si trasforma e muore, ce lo mostra quotidianamente l’esistenza terrena; invece l’eternità dobbiamo cercarla innanzitutto dentro di noi, attraverso il cammino iniziatico intrapreso, alla scoperta del nostro vero io.

Su questi presupposti il Massone, in particolare l’Apprendista Massone, guidato dall’amore fraterno e dalle tre Luci di Loggia, deve perseguire senza timore il percorso iniziatico intrapreso; la consapevolezza che l’altro è simile a lui rende possibile una visione relativa del bene e del male, necessaria per superare la dualità apparente degli opposti e per avvicinarsi alla Verità, inizio e fine di tutte le cose.

Per questo il pavimento a scacchi in definitiva rappresenta l’ordine da cui l’esistenza è regolata, indicandoci che non siamo sopraffatti dal caos.

Ognuno di noi cammina quotidianamente sul pavimento a  scacchi della propria vita, improntando il proprio cammino alla ricerca continua della propria essenza, del proprio io, donando un senso alto e profondo alla propria esistenza.

Se il pavimento a scacchi rappresenta il cosmo, simboleggia anche il nostro microcosmo interiore, verso cui tendiamo alla ricerca di noi stessi, per salire nel nostro cammino di perfezionamento spirituale.

FFRR:.

Il Vino, sangue e poesia della terra

Il Vino, sangue e poesia della terra

Se ci si chiede quando è nato il vino, il pensiero deve indietreggiare fino agli albori della civiltà e planare sulla sommità del Monte Ararat, dove Noè si incagliò con l’arca durante le fasi finali del diluvio universale. Scendendo dal monte, ad acque ritirate, Noè vi piantò la vite da lui custodita nell’arca e c’è chi ha affermato che l’armeno Areni noir, sicuramente uno dei più antichi vitigni del mondo, potrebbe essere il diretto discendente di quella vite. Dall’ultima delle nove Storie della Genesi si apprende inoltre che Noè indiscutibilmente gradiva il vino e la circostanza in cui suo figlio Cam lo scopre ebbro e nudo porterà alla maledizione della stirpe di quest’ultimo, episodio mirabilmente rappresentata dall’affresco di Michelangelo Buonarroti  nella Cappella Sistina.

Il termine Vino trae origine dalla parola sanscrita vena – amare – da cui deriva anche Venus, quindi Venere. In ebraico le parole iain, Vino, e sod, mistero, sono strettamente connesse tra loro, al punto che possono essere sostituite l’una all’altra avendo identico valore numerico.

Gli stessi Musulmani, che non consumano bevande alcoliche, a livello di elevata conoscenza hanno dimostrato di apprezzare il Vino. Lo confermano le opere di insigni letterati persiani attivi in periodo basso medievale, tra i quali il poeta Khayyam (1048-1131). Presso i Sufi, massimi iniziati di religione coranica, ancor oggi il Vino simboleggia la conoscenza esoterica, riservata ai pochi eletti depositari dei sacri misteri …

Accompagnando lo sviluppo della civiltà, il Vino figura in molte tradizioni ed è certamente inadeguato considerarlo alla stregua di una comune, piacevole bevanda, dal momento che l’umanità, fin dalle sue origini, vi ha riconosciuto la bevanda per antonomasia, un alimento per lo spirito prima che per il corpo.  Ciò è probabilmente conseguenza dell’ebbrezza che il Vino è in grado di procurare, cui si accompagnano il piacere ed il senso di esaltazione, che anticamente potevano essere di difficile comprensione a meno che non si interpretassero come la capacità del Vino di separare l’anima dal corpo ed elevarla rispetto ad esso. Il poeta mesopotamico Al-Akhtal (640 – 710) scrisse: “L’ebbrezza del vino uccide e fa rinascere: piacevole è la morte che procura, ma ancor più lo è la vita”.

Molte credenze fanno esplicita allusione a qualcosa che, in un lontanissimo passato, avrebbe avuto la facoltà di restaurare e mantenere lo stato di vita primordiale necessario per raggiungere la condizione sovrannaturale, quindi il senso dell’eternità. Cosa che, da una certa epoca in poi, sarebbe andata perduta o nascosta.

Gli Indù parlano del Soma e i Persiani del Haoma: elisir che, contenuti in coppe sacrificali, venivano considerati le bevande dell’eternità, capaci di elargire il dono dell’immortalità a quanti si accostano a loro con particolare disposizione di spirito, nel rispetto di antichissimi cerimoniali esoterici.

Soma è il sostantivo maschile sanscrito che nel Vedismo indica il succo ricavato da una pianta ed oggetto di offerta sacrificale, indica inoltre la divinità collegata alla bevanda stessa e oggetto di tutti i 114 inni del IX libro del Rgveda. Le difficoltà di interpretazione del sanscrito, e la mancanza nei testi di dettagliate descrizioni della pianta, hanno reso difficoltoso l’accertamento della sua reale identità botanica. Sono state di volte in volta indicate diverse piante dalla cui fermentazione e distillazione si ricavano bevande inebrianti, come la vite e la canna da zucchero. Giova ricordare che ogni bevanda alcolica ottenuta dalla distillazione di liquidi zuccherini fermentati di origine vegetale prende il nome di acquavite, dal latino alchemico aqua vitae, cioè “acqua della vita”. Haoma è il termine avestico che indica ancora una pianta sacra da cui si estrae una bevanda rituale, nonché la divinità che questa contiene. Secondo le religioni iraniche e la religione zoroastriana la divinità Haoma, contenuta nella pianta, verrebbe uccisa dalla spremitura effettuata per ottenere la bevanda rituale. Questa, in seguito, veniva bevuta dagli officianti allo stesso modo del soma vedico, con cui effettivamente l’haoma risulta correlato in un sacrifico che si potrebbe definire “di comunione”. Sembra  che tale sacrificio si celebrasse in occasione del solstizio d’inverno, seguendo un mito cosmogonico di rinnovamento che inaugurava l’anno nuovo.

A un certo punto il Soma – Haoma si perse senza poter più essere riprodotto ed è intrigante immaginare un intervento superiore che ha privato l’uomo di un ausilio indispensabile per raggiungere lo stato di vita primordiale, quindi la dimensione sovrannaturale.

I sacerdoti, nei loro riti, dovettero sostituirlo con una bevanda alternativa: il Vino, citato almeno una ventina di volte nelle Sacre Scritture, insieme alla vite e all’uva, e destinato a perdersi nella mitologia dove ha ispirato le leggende popolari, quindi essoteriche, di Dioniso e di Bacco.

Le tradizioni occidentali di origine celtica hanno tramandato la ricerca del Graal, un mito analogo a quello delle Divine Bevande. Il Graal era già presente alle origini del mondo e, dalla Genesi all’Ultima Cena, compare in molte circostanze vetero e neo testamentarie. Nella narrazione biblica il filo logico collega Adamo al Cristo, inizio e fine della Divina Redenzione. Il primo consuma il frutto proibito (l’uva secondo la tradizione mistica ebraica) rendendosi indegno di conoscere il senso dell’eternità e perdendo di conseguenza il possesso del Graal. Il secondo rende agli uomini la dignità dell’antico status attraverso il sacrificio del proprio sangue, che fa bere ai discepoli sotto la specie del Vino derivato dal frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, e contenuto proprio nel Graal, elevato ad elemento concreto ed essenziale attraverso il mistero della transustanziazione.

Gesù opera il primo miracolo pubblico in occasione delle nozze di Cana, una cerimonia conviviale interpretata anche come il suo matrimonio con Maria di Magdala. La trasformazione miracolosa dell’acqua in Vino depone per la centralità della nobile bevanda, considerata essenziale per vivificare un momento che, nella cultura ebraica, rappresenta una vera e propria solennità. Ma perché proprio il Vino? Dal lato esoterico il Vino non rappresenta un semplice ancorché essenziale alimento materico dello spirito. Esso assurge a punto di unione tra il Cielo e la Terra, sintesi della natura umana e divina e fondamento della Redenzione, ma si può anche pensare al recupero simbolico della mensa, dove il calice rappresenta il momento culminante dell’unione. Nell’antichità, a conclusione dei conviti, i commensali erano soliti alternarsi a bere nello stesso calice in segno di solidarietà e fratellanza, ed ancor oggi il sabato ebraico inizia con un atto di benedizione che si fa salmodiando, mentre un calice di vino viene passato a tutti i membri della famiglia. L’usanza di bere Vino “alla salute” dei vivi deriva molto probabilmente dall’antico rito religioso di bere in onore degli dèi e dei defunti. Ai pasti i greci e i romani versavano libagioni agli dèi, e ai banchetti cerimoniali bevevano in onore degli dèi e dei defunti. Il brindisi è pertanto, probabilmente, un vestigio non religioso di antiche libagioni sacrificali in cui un liquido sacro veniva offerto agli dèi: sangue o vino in cambio di un desiderio, una preghiera sintetizzata con le parole: “lunga vita!” o “alla salute”!

Per quanto attiene la nostra Istituzione, i banchetti massonici hanno lo scopo di consolidare l’amicizia e la solidarietà tra i Fratelli della grande Famiglia massonica. Agape deriva dal greco e significa “amore”, l’amore che unisce i Fratelli e che ognuno sente per il Fratello che gli siede accanto. L’amore che viene suggellato dalla polvere forte rossa o bianca (cioè il vino) nei sette fuochi (brindisi) da effettuarsi durante l’agape rituale.

Sebbene tale numero possa variare a seconda delle consuetudini, o della volontà del MV, per ultimo viene costantemente eseguito il Brindisi del Guardiano, nel quale il calice con il Vino è dedicato  “a tutti i Fratelli Liberi Muratori, sparsi sui due emisferi e sempre uniti nella prospera come nella avversa sorte”; brindisi celebrato anche da Rudyard Kipling ne “La Vedova di Windsor’, che così si conclude: «… e poi per i Figli della Vedova / dovunque e comunque essi si trovino / se è ciò che desiderano: / un immediato ritorno alle loro case».

Fr:.

Riflessioni all’ingresso del Tempio

Riflessioni all’ingresso del Tempio – o meglio –

sull’ingresso nel Tempio

All’ingresso nel Tempio, cioè nell’area Sacra, il Fr:. Massone è colto da un anelito di trascendenza che si sustanzia in alcuni simboli presenti sulle pareti: la scritta A:.G:.D:.G:.A:.D:.U:., il Delta Sacro, l’Ara Sacra e il Libro Sacro collocati presso il Trono del Maestro Venerabile; questi citati sono solo esempi, ma che già esprimono l’atmosfera spirituale che avvolge i lavori massonici.

Alti simboli ed altre parole rappresentano i landmarks che segnano il cammino del Fr:. Massone verso la Luce, verso il Grande Architetto Dell’Universo.

Il Tempio è il luogo della ricerca della Verità, oltre che simbolo della tradizione in cui i Fratelli Massoni di oggi continuano il lavoro degli operai del Tempio di Salomone, o dei costruttori di chiese medioevali, è la riproduzione della terra di un modello trascendente.

Ma prima di iniziare i lavori, che si avviano con la apertura della Bibbia alla prima pagina del Vangelo di Giovanni, cioè sul Prologo, che è basato sui simboli della Parola e della Luce, si deve entrare nel Tempio, al cui ingresso si trovano le Colonne B e J di tradizione giudaica, infatti, nel Primo Libro dei Re è scritto: “… allora Salomone fece innalzare le colonne nel portico del Tempio, prima la colonna di destra che chiamò Jachin – che Dio ha stabilito – e poi quella di sinistra che chiamò Boaz – in forza”, che rappresentano un limite fisico e spirituale che introduce al cammino dell’Iniziato.

Cammino che procede tra Luce e Tenebre, come è ben rappresentato dal Bianco e dal Nero delle piastrelle intrecciate sul pavimento del Tempio, a mo’ di scacchiera, in cui le fughe tra una piastrella e l’altra formano un cammino rettilineo che ha, ora a destra, ora a sinistra, il Bianco ed il Nero.

Questo simbolicamente può rappresentare la via stretta del cammino iniziatico.

L’Iniziazione è esperienza esoterica ed intima, e forse è il migliore esempio di ingresso nel Tempio.

Il profano che chiede “la Luce Massonica” non arriva direttamente al Tempio, passa prima nella Camera di Riflessione, nella quale il colore predominante è il nero.

Essa è addobbata con simboli, alcuni di morte (ossa umane, una clessidra – il tempo scorre inesorabile), altri legati all’Antico Testamento come la lucerna e un pezzo di pane secco ed una brocca d’acqua – quest’ultimi mi piace pensare che siano il simbolico nutrimento del profano prima dei quattro “viaggi” dell’iniziazione, infatti Elia, prima di intraprendere il cammino verso il monte Horeb, il monte di Dio, fu nutrito dall’Angelo del Signore con pane ed acqua.

Nella Camera di Riflessione vi sono altresì iscrizioni che predispongono l’animo dell’iniziando ad una rigorosa riflessione sui lati in ombra del proprio Io, sulla propria posizione profana, misto di ottundimento e tribolazione.

V:.I:.T:.R:.I:.O:.L:. – visita le viscere della terra e correggendo il cammino troverai la pietra occulta.

Questo concetto è ulteriormente rafforzato dal “se persevererai sarai purificato, verrai fuori dall’abisso delle tenebre, vedrai la Luce”.

Nella Camera di Riflessione al profano viene chiesto un testamento dei doveri, verso se stessi e verso il mondo, l’ideale lasciapassare per l’ingresso nel Tempio.

Con il Silenzio chiamato dal Maestro delle Cerimonie si crea un’atmosfera di concentrazione e predisposizione interiore, condivisa da tutti, che non è altro che il preludio ad un lavoro per il bene dell’Umanità, il Silenzio viene interrotto dalla voce del Maestro delle Cerimonie che invita i Fratelli Apprendisti ad entrare nel Tempio.

Fr:.

Sulla bioetica ed in particolare sull’eutanasia

Sulla bioetica ed in particolare sulla eutanasia

La bioetica è una materia che si occupa dell’etica applicata alla parte più biologica della vita, in particolare si interessa:

1) della vita embrionale;

2) della vita del nascituro;

3) dei trapianti;

4) della fine della vita.

E’ una materia nuova, divenuta attuale col progresso delle scienze mediche; non ci sono antecedenti che ci possano guidare se non visioni filosofiche e religiose nate ben prima che alcune scoperte scientifiche cambiassero le possibilità mediche.

Per quanto riguarda la vita embrionale c’è chi dice che si tratta di una vita vera e propria e come tale va difesa e chi sostiene che non lo è e che si può adoprare a piacimento.

C’è chi dice che il nascituro ha il diritto di nascere sempre e comunque e chi invece gli nega il riconoscimento di essere umano prima del novantesimo giorno di gestazione.

Per quanto riguarda il problema dei trapianti c’è chi nega la liceità dell’espianto da un individuo a cuore battente e chi, la maggior parte, accetta questa pratica come lecita in condizione di elettroencefalogramma piatto.

Per quanto riguarda la fine della vita si discute oggi se “eutanasia si oppure no”; se l’accanimento terapeutico possa essere considerato una inutile crudeltà o un doveroso compito; si distingue:

a) eutanasia attiva, in cui si provoca la morte con la somministrazione di sostanze tossiche;

b) eutanasia passiva, in cui si procura la morte sospendendo le cure;

c) suicidio assistito, in cui al malato vengono somministrati i mezzi per togliersi la vita.

Concetto antitetico è l’accanimento terapeutico, ossia il tenere in vita una persona morente e incapace di miglioramenti; oggi sembra che quasi tutto sia possibile tecnicamente e quindi sia giusto farlo.

La materia è indubbiamente complessa e poiché non ci sono prove assolute per una posizione, ogni posizione è degna di rispetto e deve essere valutata con scrupolo e gli eventuali punti di arrivo andrebbero considerati come compromessi e convenzioni.

Un aspetto fondamentale della bioetica è quello inerente l’autonomia del paziente; il paziente autonomo, cioè LIBERO, è quello che riflette sul proprio stato senza influenze esterne; ma quand’è che un paziente è veramente autonomo e libero? Chi lo decide? Forse il medico? Il giudice? Il parente? E questi sono veramente liberi? Si può dire “tu vuoi la morte perché non accetti con religiosa rassegnazione il dolore”?

Dopo queste considerazioni generali vorrei approfondire il discorso sull’eutanasia oggi drammaticamente alla ribalta.

Per eutanasia si intende un’azione od una omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, provoca la morte, allo scopo di eliminare il dolore.

L’eutanasia si situa quindi a livello delle intenzioni e dei metodi usati.

Una caratteristica definitoria dell’eutanasia è il suo obiettivo di ridurre la sofferenza.

Pazienti con dolore non controllato possono vedere nella morte l’unica fuga perseguibile.

E’ opportuno fare cenno al modo di pensare e di comportarsi che si è avuto nella storia:

nel giuramento di Ippocrate del 420 a.c. si legge che il medico non deve in alcun modo somministrare un farmaco letale o farmaci abortivi; nel codice di Ammurabi si legge che il suicidio era considerato con rispetto e l’assistenza a questo una pratica accettabile; nell’Antica Sparta i neonati deformi venivano soppressi e gettati dal monte Taigeto; il grande Platone ne “La Repubblica” afferma che la medicina deve lasciar morire i malati inguaribili senza tenerli artificiosamente in vita; nel mondo greco il sacrificio per la patria era venerato e portava al ricordo eterno; nell’Antico Testamento viene citato un caso di suicidio assistito, quello del Re Saul ad opera di un suo soldato, ma questi viene poi condannato a morte dal Re David; per Seneca l’uomo saggio vive finché deve e non finché può; nel XVI secolo il filosofo medico Francesco Bacone invitava i medici ad imparare l’arte di aiutare gli agonizzanti ad uscire da questo mondo con più dolcezza e serenità; il filosofo Nietzsche nel “Crepuscolo degli idoli” scriveva che il malato è un parassita della società e che in certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo; durante il nazismo Hitler avviò un programma che prevedeva l’eliminazione dei malati inguaribili; è doveroso ricordare che il padrone di un animale domestico sopprimeva la sua bestia quando questa era irrimediabilmente ferita.

Importanti le posizioni religiose.

Quella della Chiesa Cattolica espressa nel documento ufficiale della Congregazione della Fede è assolutamente contraria ad ogni forma di eutanasia; è però altrettanto contraria all’accanimento terapeutico.

Quella Musulmana, pur non essendoci un’autorità centrale a dettare le regole (vedi il codice islamico di etica medica – 1981), afferma che la legge divina non prevede la soppressione della vita per pietà; poi, continua, la cura è obbligatoria, ma il trattamento cessa di essere obbligatorio quando non lascia speranze ed il paziente è in stato irreversibile di perdita di conoscenza.

La Chiesa Anglicana per bocca di un eminente vescovo afferma che ci sono situazioni in cui per un cristiano la compassione debba prevalere sul principio secondo cui la vita va preservata a tutti i costi; l’alto prelato afferma che in alcune circostanze può essere giusto fermare o togliere una cura.

Per accanimento terapeutico si deve intendere un’ostinazione inutile e senza senso a proseguire le terapie, che si sono dimostrate gravose per il malato, per il fatto che non migliorano la sua condizione, né impediscono la morte per un tempo ragionevole, ma solo prolungano di qualche tempo la vita, imponendo al malato gravi sofferenze.

Come si vede le religioni considerate dicono un secco no all’eutanasia, ma aprono al rifiuto dell’accanimento terapeutico; c’è quindi una zona oscura dove le dottrine arrivano male, dove il confine tra eutanasia attiva (negata) e rifiuto dell’accanimento terapeutico (accettato) è molto sfumato e il giudizio è rimesso in definitiva ai medici.

Secondo la legazione italiana l’eutanasia attiva è assimilabile in genere all’omicidio volontario seppure con le attenuanti; in caso di consenso del malato si configura la fattispecie prevista dall’art. 579 del c.p., omicidio del consenziente, punito con la reclusione da 6 a 15 anni; anche il suicidio assistito è un reato, art. 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio).

Ritengo che si abbia il diritto/dovere di dissuadere un simile dal togliersi la vita, ma non credo si sia autorizzati ad impedirglielo, specie quando non di vita si tratta, ma di sopravvivenza; non è giusto che le scelte riguardanti la nostra vita siano fatte da governanti, medici, giudici, parenti.

L’ eutanasia passiva è permessa in ambito ospedaliero solo nei casi di morte cerebrale e devono essere interpellati i parenti, si richiede il permesso scritto del primario, del medico curante e di un medico legale; in caso di parere discordante fra medici e parenti si va in giudizio ed è il giudice a dover decidere.

Ci sono alcune osservazioni derivate dal comune buon senso che devono esser fatte.

1)    Il gamete maschile e quello femminile quando si incontrano danno già origine alla vita, che però non è autonoma e necessita del grembo materno;

2)    Abortire prima del terzo mese è consentito ed è legale, dopo no;

3)    Uccidere un vecchio, un centenario che non ha più speranza di vita a causa di patologia, è un omicidio volontario e come tale viene punito;

4)    Secondo la nostra legislazione staccare la spina ad un malato terminale, senza speranza, è considerato omicidio volontario;

5)    Per quanto riguarda il cosiddetto testamento biologico è doveroso ricordare che una dichiarazione di intenti e di intenzionalità non può dirsi esaustiva della volontà di una persona allorché sia espressa in tempi e circostanze diverse da quella cui sembra riferirsi, perché col passare del tempo potrebbe verificarsi un mutamento d’intenti; manca cioè la con testualità. Questo potrebbe bastare ad inficiare la validità di tale atto? Chi ci dice che un essere incapace di esprimersi non abbia, in quel momento, un’idea diversa da quella manifestata tempo addietro e in condizioni di salute?

La mia opinione è che la cosiddetta eutanasia è un problema più giuridico che etico; perché per parlare di etica è necessaria una condizione, la libertà di scegliere del soggetto; ma il malato che chiede di morire non è libero di scegliere essendo afflitto da dolore e depressione; è invece un problema giuridico e politico perché per legge dovrebbero essere definite tutte le situazioni in cui si può accedere all’eutanasia; per legge andrebbe tutelato il medico che per pietà stacca la spina o somministra sostanze mortali.

Anche su questo tragico tema si assiste ad un scontro politico a volte volgare, troppo spesso strumentalizzato dalle parti; non è obbligo che i cosiddetti cattolici siano tutti della stessa opinione e così pure i cosiddetti non credenti; sarebbe utile e proficuo liberare il modo di pensare da questi schematismi che riescono solo ad allontanare la risoluzione dei problemi.

Fr:.

E’ possibile un’etica laica?

E’ possibile un’etica laica?

L’etica è la scienza morale rivolta all’analisi del comportamento umano, rispondente ai vari sistemi filosofici da cui è derivata.

Molti la fanno sinonimo di morale, infatti l’etimologia è comune al significato di costume, però “etica” indicherebbe di preferenza la teoria morale.

L’etica è consequenziale ad una determinata filosofia.

Secondo il fine e la natura attribuiti alla vita umana si sono avute varie dottrine etiche:

- quella “edonistica”, che pone per fine il piacere;

- quella che pone per fine la felicità, l’“aristotelica”;

- quella fatta di razionale fermezza, la “stoica”;

- quella “cristiana” fondata sul triplice di Dio Padre, degli uomini fratelli e della sanzione ultraterrena;

- quella “razionale” sostenuta da Kant, che riteneva la ragione come autonoma;

- quella “utilitaristica” (di Hobbes), secondo il criterio del massimo benessere per il maggior numero di persone, affine all’ed. morale del positivismo;

- quella “islamica”;

- quella del “confucianesimo”;

- quella “massonica”;

e tutte le altre che non nomino.

C’è poi la morale intesa come una serie di norme di vita o di comportamento che riguarda i singoli o anche la società in generale; mi fa piacere riferirvi che questa parola ha anche un significato nelle costruzioni, infatti ho trovato che la “morale” in veneto è un trave del tetto … forse ad indicare che guida e sostiene.

Ci può essere:

- una morale cristiana;

- una morale naturale, che prescinde completamente da ogni riferimento soprannaturale;

- una morale pubblica, che riguarda la comunità nel suo insieme ed è spesso in opposizione alla

- morale privata, che riguarda la vita di un individuo, indipendentemente dalla vita sociale e di relazione, spesso improntata a cinismo ed opportunismo;

- una morale universale, che è l’insieme delle norme sostanzialmente comuni ad ogni religione e ad ogni uomo, considerata patrimonio comune ed irrinunciabile dell’umanità.

Ricordo, per inciso, che Benedetto XVI, in un recentissimo intervento, ha affermato che alcuni diritti sono connaturati con l’uomo e poiché l’uomo è stato creato da Dio consegue che anche i diritti sono stati creati da Dio …

Intendo la morale come una regola interiore che guida i comportamenti, anche e principalmente, in assenza di norme scritte.

Ben altra cosa è il “moralismo”, che considera l’attività morale come la chiave di tutta la realtà.

Laico, secondo il dizionario italiano è: “Il credente non appartenente allo Stato ecclesiastico; colui che nel campo della propria attività rivendica un’assoluta indipendenza e autonomia di scelte dalla Chiesa”.

Laico non è sinonimo di ateo.

Il laicismo è l’atteggiamento che propugna la completa indipendenza dello Stato nei confronti di qualsiasi confessione religiosa, sul piano politico, civile e culturale.

Sul piano storico assistiamo ad un relativismo di concetti normativi: ciò che è buono o giusto per un popolo può essere male per un altro (basti ricordare le persecuzioni).

Ma al di sopra di tutte le differenziazioni contingenti appare evidente che l’uomo è in grado di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto.

Il bene morale esprime il punto di vista della considerazione globale dei valori parziali.

La morale è quindi una sintesi globale di valori parziali.

Premesso quanto sopra, mi sento di affermare che l’etica laica:

- è possibile perché la ragione è un lume che va adoprato sempre, non bisogna temere il pensiero;

- è doveroso ricercarla in virtù della capacità di distinguere il bene e il male: il rifiuto della ricerca è in antitesi allo spirito Massonico;

- è per buona parte in divenire, non avendo per definizione una rivelazione all’origine, fermi restando alcuni principi fondamentali;

- è paragonabile ad un’etica rivelata – noto che non a caso i Lavori di Loggia iniziano con il Primo Sorvegliante che apre il Libro della Legge e vi depone la Squadra ed il Compasso, ad indicare che partendo dal Testo Sacro il Massone comincia a lavorare.

Termino il mio lavoro con alcune riflessioni:

- a volte l’etica può essere costruita e spiegata meglio con le azioni che con i discorsi (non ha importanza quello che si dice, ma quello che si fa);

- noi speculativi corriamo il pericolo di disquisire nobili temi e di lasciare ai nostri successori poche opere.

Per concludere pongo una domanda: con le sole religioni rivelate, quelle combattute dal laicismo, la ragione sarebbe Dio. e in virtù di questa ragione sarebbe lecito fare qualsiasi cosa?

Attenzione, nella Rivoluzione Francese, nella Rivoluzione Russa, nella Seconda Guerra Mondiale, fu seguita questa regola, ma le conseguenze tutti le conosciamo.

La ragione potrebbe essere vista come Tribunale Supremo delle azioni e dei comportamenti, ma bisogna ricordare che le azioni sono frutto della logica, dell’interesse, delle condizioni sociali, culturali, genetiche, ma anche del sentimento, e quest’ultimo è un settore che la ragione conosce poco.

Fr:.

Rileggere Kipling

Rileggere Kipling

I riferimenti muratorii contenuti nei “Jungle Books” (primo e secondo libro della Jungla) del Fr.   Rudyard Kipling non hanno certamente una importanza rilevante.

Altre opere offriranno una testimonianza più diretta delle esperienze massoniche dell’Autore, rivelando tendenze culturali e di gusto affini alla nostra tradizione intellettuale quando addirittura non si tratta di brani espressamente dedicati alla Massoneria.

Tuttavia può essere interessante rileggere quest’opera minore, legata per lo più ai ricordi della nostra adolescenza, disponendo di un codice capace di decifrare in chiave massonica certi elementi della sua struttura.

Kipling la pubblicò tra il 1894 ed il 1895, quando già da otto anni faceva parte della Fratellanza: era stato infatti iniziato presso la R.L. Hope And Perseverance di Lahore nel 1886, a soli vent’anni.

Non c’è dubbio che, procedendo alla sua stesura, l’Autore ha avuto presenti le Sue prime esperienze di Loggia; anche se non le ha tradotte, come più tardi farà, in termini immediatamente comprensibili.

L’opera, divisa in due libri, consta di un certo numero di racconti alcuni dei quali a sé stanti, altri (quelli che particolarmente ci interessano) collegati fra loro dal filo conduttore della storia di Mowgli.

Mowgli (il ranocchio) è un bambino di tenerissima età che, per caso fortuito, si perde nella foresta: un branco di lupi lo raccoglie e lo alleva, istruendolo come un proprio cucciolo fino ad ammetterlo come membro della comunità.

Il soggetto non è di una originalità eccezionale.

La figura dell’uomo che vive primitivamente ai margini della civiltà e finisce per intendersi meglio con gli animali che coi suoi simili ricorre abbastanza comunemente nella letteratura di consumo.

Il testo però si distacca dallo stile classico del romanzo di avventure per tentare una impostazione di maggiore impegno che Kipling realizza con un linguaggio semplice e piano, alla portata di tutti.

Sullo sfondo della foresta lussureggiante ed impenetrabile ruota il piccolo mondo di Mowgli, il mondo degli animali selvatici.

Ad essi l’Autore attribuisce indole e personalità di uomini, trascurandone spesso l’aspetto puramente zoologico o adattandolo ai fini che si propone.

Ciò gli permette di sviluppare, accanto agli episodi “d’azione”, interessanti studi di carattere e di impostare problemi di psicologia di gruppo che ancora stupiscono per la loro attualità (bisogna pensare all’epoca in cui il libro fu scritto).

Gli uomini veri, gli uomini a due gambe compaiono solo marginalmente nella storia di Mowgli; la loro partecipazione è spesso limitata alle necessità formali del racconto (giacché le leggi naturali costringeranno Mowgli, suo malgrado, a rientrare infine nel suo ambiente d’origine) ma essi non assumono mai statura di protagonisti.

Kipling approfitta tuttavia delle loro saltuarie apparizioni per proporre un confronto che si risolve a tutto vantaggio degli animali.

“Gli uomini sono sempre uomini, e le loro chiacchiere somigliano al gracidare dei ranocchi in uno stagno”.

Così lapidariamente un lupo giudica la nostra specie.

Lo stesso Mowgli, in varie occasioni, riassumerà in breve frasi crudeli le sue esperienze di convivenza con quelli della sua razza: “Chiacchiere e chiacchiere. Gli uomini sono fratelli di sangue dei Bandar Log (le scimmie)” e ancora: “Sono oziosi, insensati e crudeli. Si divertono a chiacchierare e non ammazzano quelli più deboli di loro per fame, ma per giuoco”.

Difficile credere che Kipling nutrisse in assoluto una così bassa stima della propria razza; si tratta probabilmente di un espediente atto a porre in risalto la maggior serietà di impostazione morale che egli attribuisce, del resto arbitrariamente, agli animali (soluzione di comodo per fare, Lui uomo, un discorso agli uomini).

Perciò il confronto sostanzialmente non esiste: gli animali più nobili rappresentano l’uomo ideale come l’Autore se lo configura, gli animali inferiori sono in tutto e per tutto identici e sovrapponibili agli uomini di basse qualità morali ed intellettuali.

Non a caso gli animali di Kipling sono divisi in gruppi diversi dagli aspetti della personalità e del carattere più che dalle differenze biologiche e razziali.

Non a caso la specie che Egli maggiormente esalta è quella dei lupi.

Il branco di Seeonee è il vero protagonista corale della vicenda, quello che è messo a fuoco più diligentemente.

Governati da leggi sagge la cui violazione comporta l’isolamento o la morte, guidati da un capo la cui attitudine al comando è continuamente verificata, non privi di una primitiva filosofia sociale, i lupi rappresentano per Kipling l’aristocrazia di pensiero della foresta.

Essi si autodefiniscono orgogliosamente “il popolo libero” e dimostrano di meritare tale appellativo.

La struttura organizzativa del branco è sostanzialmente democratica e la sua autonomia è completa.

La stessa volontà di allevare Mowgli anziché mangiarselo (come l’istinto richiederebbe) o abbandonarlo alla sguaiata prepotenza di Shere Khan, rivela una capacità decisionale che presuppone la coscienza della propria libertà e della propria autonomia.

Ma soprattutto i lupi dimostrano le proprie qualità di popolo libero sottoponendosi volontariamente alla Legge non tanto in funzione della severità estrinseca della Legge stessa quanto nella consapevolezza della sua intrinseca necessità sociale.

Ad essi l’Autore presta le più immediate assonanze massoniche.

C’è una precisa regola che condiziona la sopravvivenza del branco; le famiglie, all’epoca degli accoppiamenti, possono anche vivere e cacciare isolate, ma i cuccioli, non appena sono in grado di reggersi sulle zampe, rientrano automaticamente nel branco.

Acciocché ogni lupo adulto li riconosca come fratelli ed essi possano quindi godere delle salvaguardie e dei privilegi che la Legge prevede, essi vengono presentati alla comunità (sorta di primordiale iniziazione) durante una assemblea che si tiene una volta al mese a luna piena sulla Rupe del Consiglio.

Uno ad uno i cuccioli vengono spinti nel cerchio dei lupi adulti mentre il capo ripete l’esortazione a riconoscerli: “Voi conoscete la Legge! Guardate, guardate bene, o lupi!”.

Salta agli occhi l’analogia con quanto avviene nel rito dell’iniziazione massonica.

Il candidato viene fatto passare tra le colonne ed il Venerabile invita i Fratelli del settentrione e del mezzogiorno, dell’oriente e dell’occidente e riconoscerlo.

Ma la vera iniziazione non soltanto formale è subita da Mowgli non appena accettato dal branco come suo membro.

Tre animali si curano della sua educazione iniziatica: Akela (il lupo grigio), Baloo (l’orso), e Bagheera (la pantera nera).

Tre animali che simboleggiano abbastanza scopertamente la Bellezza, la Saggezza, e la Forza, i tradizionali pilastri del Tempio Massonico.

Da loro Mowgli imparerà tutto ciò che gli occorre per inserirsi nel suo nuovo contesto sociale. La dottrina che gli viene impartita riguarda tutti gli aspetti della vita, dalle norme pratiche di comportamento per la soddisfazione dei quotidiani bisogni ai principi etici dell’esistenza individuale e sociale.

Punto di partenza e di arrivo, motore e freno di ogni aspetto della vita della foresta è la Legge, la disciplina ferrea che la natura ha preposto alla conservazione della specie.

Alla Legge Kipling dedica pagine commosse e solenni riuscendo a rendere poeticamente accettabile anche il crudele fatalismo della sopravvivenza che pur comporta la morte dei più deboli.

Nessuno può sottrarvisi impunemente e, del resto, quasi tutti gli animali l’accettano con estremo realismo come un portato della vita medesima.

La Legge è come la liana gigante – dirà Baloo – che capita addosso a tutti e nessuno sa districarsene.

Non mancano anche qui i riferimenti muratorii.

Da Baloo, depositario della saggezza antica, Mowgli impara le “Parole Maestre” di tutti gli animali della foresta, vere e proprie parole di passo che conferiscono a chi le conosce immunità e reciproco diritto di aiuto.

“Noi siamo di uno stesso sangue, io e voi” è la formula, seguita da verso particolare della specie con cui si allacciano rapporti di amicizia.

Forte di queste conoscenze Mowgli supera con relativa disinvoltura le difficoltà ed i pericoli della sua nuova vita.

Accanto ai lupi, maestri di maturità civile, pochi altri animali di rango elevato: la pantera nera, l’emblema della forza coordinata dall’intelligenza, l’orso, depositario della tradizione antica, infine Hathi il silenzioso, l’elefante selvatico, che è un po’ la risultante dei primi due.

Intorno a loro si muove la massa delle bestie inferiori incapaci di elevarsi al di sopra dell’atavismo e dell’istinto, ignoranti della Legge o passivamente sottoposti ad essa senza afferrarne il significato morale.

Shere Khan, il tigre, violento e gradasso, conscio fin troppo della sua forza bruta ma privo di facoltà raziocinanti, specie quando è gonfio di cibo.

Tabaqui, lo sciacallo, detto il leccapiatti, ingordo e pauroso, ruffiano e adulatore, buono solo a servire il potente per nutrirsi dei suoi avanzi.

Mao, il pavone, tutto coda e schiamazzi.

Chil, l’avvoltoio, spietato e macabro.

Infine la moltitudine dei Bandar Log, le scimmie, che l’Autore colloca nel gradino più basso della scala animale; bugiardi e presuntuosi, vanitosi e pettegoli, non hanno capo né grido di caccia (che sono, per Kipling, gli emblemi dello spirito di gruppo), né memoria né iniziativa, ma solo parole sciocche e piccole mani svelte di ladruncoli.

Ognuno di questi animali richiama alla mente un tipo di uomo, un particolare aspetto dell’umano decadimento dipinto sinteticamente ma con estrema chiarezza.

Tuttavia il ritratto di gran lunga più incisivo e potente è quello dei Bandar Log, immagine del qualunquismo morale che ha scritto tante nere pagine di storia.

Ancora oggi chiunque si guardi intorno osserverà con stupore ed angoscia la brulicante moltitudine di piccoli uomini senza memoria del passato e senza capacità previsionali, privi di interessi che superino i loro immediati animaleschi bisogni, ignoranti quanto presuntuosi, superficiali e ciarlieri, mancanti di qualunque idealità e di qualunque filosofia, disposti a nutrirsi di slogans e di luoghi comuni.

Incapaci di concepire, individualmente e collettivamente, i problemi dell’umanità, così i Bandar Log di Kipling che finiscono fatalmente vittime della fredda, ipnotica violenza di Kaa, il pitone.

La forza che Kipling predilige non è muscolare.

La vera potenza, morale oltre che fisica, scaturisce dallo spirito di gruppo, ultimo e più importante postulato massonico dell’Autore.

Lo spirito dei gruppo, inteso come tendenza associativa e come contributo di tutti all’opera collettiva, è implicito nel fatale scadimento del branco di Seeonee che si verifica quando i lupi si abbandonano ad una neghittosa anarchia.

Ancora meglio si compendia nell’episodio dei cani rossi del Dekkan, terribili razziatori che si gettano a plotoni affiancati alla conquista di nuovi territori di caccia.

Il branco, inferiore numericamente, vincerà tuttavia la battaglia non solo grazie alla strategia ed al coraggio di Mogli ma anche in virtù della maggiore coesione morale e del concetto di difesa collettiva (qualità dei popoli liberi).

Battaglia che è, si, una battaglia di sopravvivenza fisica (conservazione della sovranità sul territorio di caccia) ma che non manca, per la abile mediazione di Kipling, di implicazioni morali tanto da apparire quasi la difesa di certi valori intellettuali o comunque di un livello di civiltà.

Se l’Autore fosse vissuto ai nostri giorni, crederemmo forse di scoprire in questo episodio precisi riferimenti a fatti della nostra storia recente; tanto colpisce l’attualità della narrazione.

La forza del lupo è nel branco, la forza del branco è nel lupo, afferma la legge dei lupi di Seeonee.

Tutto ciò, pur essendo ormai acquisito e addirittura ovvio, non avrebbe niente di massonico e resterebbe pura e semplice constatazione del potenziamento collettivo di forze individuali.

Il monito massonico si intende laddove il pericolo comune, la comune paura ingenerano principi, sia pur contingenti e transitori, di uguaglianza e di tolleranza.

“Ognuno ha la sua paura” afferma Hathi.

Quando però una calamità minaccia non questo o quell’animale ma la vita stessa dell’intera fauna della foresta, la Legge prescrive inderogabilmente una sospensione delle paure individuali di fronte al pericolo collettivo.

Così quando la siccità prosciuga la Jungla ed una sola pozza d’acqua rimane in tutto il territorio di caccia, viene proclamata la Tregua dell’Acqua che vieta a chiunque di uccidere presso il luogo di abbeverata (onde tutti possano dissetarsi senza correre il rischio di agguati).

I cervi ed i lupi, i bufali e le pantere bevono l’uno accanto all’altro senza aggredirsi: il pericolo comune ha represso gli istinti individuali per esaltare lo spirito collettivo.

“E’ soltanto – osserva ancora Hathi – quando v’è una unica, grande Paura che incombe su tutti, come adesso, che noi della jungla possiamo dimenticare le nostre piccole paure e radunarci tutti in uno stesso luogo”.

Non è ancora, certamente, il tipo di uguaglianza che noi propugniamo, che prescinde dai pericoli e dalle necessità per elevarsi a valori di pura idealità.

Tuttavia non è poco, per degli animali (specialmente se si considera che, per loro, l’uccidere e l’essere uccisi rientra nel finalismo naturale).

E non sarebbe poco nemmeno per gli uomini, se essi riuscissero a diventare più uniti di fronte ai bisogni ed alle sofferenze dell’umanità.

Questo disse il Massone Kipling, con straordinaria preveggenza e con profondo spirito muratorio, tanti e tanti anni fa.

Fr:.

Ritualità, Simbolo, Tempio

Ritualità, Simbolo, Tempio

Si parla molto e si scrive molto riguardo all’argomento della regolarità e dell’ortodossia Massonica.

Al termine di tutte le riflessioni e le dissertazioni si giunge, comunque, alla conclusione che questa ricercata “ortodossia” Massonica consista innanzitutto nel seguire fedelmente la tradizione, nel conservare con cura i simboli e le forme rituali che esprimono questa tradizione e ne sono veste, e infine nel rifiutare ogni innovazione che sia sospetta di modernismo.

Detto ciò io non penso che il ritualismo debba essere qualcosa di assolutamente immutabile al quale non si possa aggiungere o togliere niente senza macchiarsi di colpe più o meno tremende.

Se così fosse bisognerebbe ammettere che non c’è differenza tra ortodossia tradizionale e stretto formalismo, permettendo, purtroppo, alla ritualità di soggiacere ad un pericoloso dogmatismo che deve essere del tutto estraneo allo spirito Massonico.

La ritualità tradizionale non esclude l’evoluzione e il progresso.

Ciò che, in buona sostanza, voglio dire è che appare assolutamente necessario riprendere con serietà e dedizione quegli studi iniziatici senza i quali il ritualismo (cristallizzato o adattato alle necessità del progresso) è solo un insieme di cerimonie prive si senso, come nelle religioni esoteriche.

Uno dei più importanti bersagli di questi studi è la conoscenza del simbolismo e la sua interpretazione esoterica.

Ma cerchiamo di capire cos’è il simbolismo Massonico e perché la sua completa comprensione è condizione necessaria e sufficiente per compiere il disegno Massonico.

Il simbolismo Massonico è la forma tridimensionale visibile di una sintesi trascendente, astratta, tra principio e oggetto fisico (per esempio: filo a piombo – rettitudine, equilibrio; stella fiammeggiante – illuminazione, gnosi).

Le concezioni che rappresentano i simboli non possono dare origine a nessun insegnamento dogmatico; esse sfuggono a formule concrete di linguaggio parlato e non si riesce a dare di esse una tradizione a parole che sia oggettiva e non invece adatta alla singola personalità e necessità interiore di ognuno.

Si tratta, come tutti sostengono, di misteri che si sottraggono alla curiosità profana, e quindi sono delle verità che lo spirito di ognuno non può veramente afferrare se non dopo essere stato opportunamente preparato.

La preparazione alla comprensione dei misteri è allegoricamente rappresentata dalle prove dei tre gradi fondamentali dell’Ordine, dalla sequenza delle figure rituali da assumere durante i lavori nel Tempio e dalle iniziazioni medesime.

Contrariamente a quanto superficialmente spesso si afferma, tutte queste prove, allegorie, simboli, non hanno lo scopo di tirar fuori il coraggio e le qualità morali, sia del neofita che dell’iniziato, ma raffigurano un insegnamento al soggetto, una metodologia operativa che fondamentalmente è la seguente: osservare, discernere e poi meditare e quindi, senza parole, scegliere; questo nel corso dell’intera propria vita Massonica.

Vero è che la Massoneria ha un certo modello di uomo-soggetto, che, come si legge nelle Costituzioni, pone alla base di ogni sua azione, di ogni suo pensiero il proprio perfezionamento, la propria elevazioni morale, la ricerca continua ad ogni livello del vero e del giusto.

Si tratta, come la tradizione ci racconta, di un modello che si prefigura come costruttore, muratore, “Libero” Muratore; un costruttore di se stesso e del proprio Tempio Interiore, un costruttore che insegue ostinatamente la perfetta realizzazione di un cantiere che è la sua interiorità.

La ritualità durante i lavori nel Tempio è disseminata di simboli che sono fisicamente legati all’operatività muratoria e quindi all’Architettura delle Cattedrali.

Ma il Tempio, il Tempio Massonico, non nella sua struttura fisica, ma nella sua sostanza esoterica, non è la Cattedrale, e l’0rdine Architettonico del Tempio Massonico non è l’Architettura della Cattedrale; l’uno è il significato simbolico dell’altro.

Questo è vero come è vero che l’ordine matematico, per esempio, che è alla base dell’architettura fisica del Tempio, è l’immagine simbolica dell’ordine cosmico universale, che si rispecchia nel microcosmo interiore, la cui perfezione è lo scopo della vita Massonica.

In buona sostanza, e per spiegare il primo dei simboli legati alla ritualità Massonica, si dovrà cercare di comprendere che il Tempio Massonico nella sua struttura fisica, visibile, rappresenta una verifica tridimensionale di una metodologia operativa, questo per rassicurare l’iniziato che la simbologia visibile è la vera rappresentazione del cammino verso la perfezione.

Ciò almeno in parte mi può permettere di comprendere che il Massone ha scelto un percorso durante il quale costruirà, guidato dalla ritualità e dai simboli, il proprio Tempio interiore, realizzando punto per punto la propria architettura che sarà lo specchio, sebbene per difetto, di un’altra architettura ben più complessa e globale: l’ordine del perfetto organismo universale.

Il Massone, nell’attuazione del proprio compito, e cioè nel tentativo di costruire il proprio Tempio interiore, ha come unico mezzo la Ritualità.

Questa di per se stessa è l’ordine che propizia l’alleanza tra il simbolo del cielo (il cielo terrestre, il cielo del Tempio) e la perfezione dell’Universo, la perfezione del cosmo; essa collega la materia allo spirito, l’uomo fisico, muscolare, all’uomo Massone.

E’ quindi solo con la ritualità che un gruppo di iniziati neofiti si trasforma in una struttura ordinata ed organizzata in cui ciascuno di loro, pur mantenendo la propria individualità, si sentirà investito da una nuova forza funzione; essere la parte di un tutto.

La Ritualità pertanto è lo strumento che trasforma un Tempio Massonico da una somma matematica di Fratelli in un organismo simbiotico che esprime una forza unica, unitaria, per questo molto più grande di un semplice quantitativo numerico.

E’ per questo che la Ritualità è l’unico mezzo con il quale un luogo del mondo qualsiasi, eletto geograficamente o no, architettonicamente definito o no, fornito di simboli guida o no, diviene un Tempio, uno spazio sacro, il centro stesso dell’Universo, ed è questo spazio universalmente perfetto, che rappresenta il simbolo dentro cui cercare la via affinché l’uomo possa realizzare dentro di sé un uguale spazio sacro, un uguale Tempio interiore; possa cioè in una parola sola, tentare di raggiungere la perfezione.

Ma durante questa impresa, che poi è l’unica motivazione dell’essere massone, può accadere che il pensiero rimanga prigioniero delle strutture, che il concetto rimanga prigioniero delle parole.

Può accadere insomma che il linguaggio delle parole sia inadeguato, insufficiente per esprimere pienamente i convincimenti, gli orientamenti di fondo caratteristici della nostra formazione.

Può accadere cioè che le parole ancorché dotte, colte, diventino una prigione per il nostro pensare, cioè appaiano loro stesse l’unica ragione del nostro pensare, e non, come invece sono, un semplice strumento per comunicare il nostro pensiero.

Questo può capitare quando, la nostra coscienza, percorrendo le Tavole tracciate per la costruzione del Tempio interiore si ritrovi, all’improvviso, come sull’orlo di un baratro senza fondo, ad esplorare gli sconfinati abissi dell’anima nostra.

E’ in questo momento allora che il linguaggio universale schematico dei simboli, adoperato come giusto cemento per le componenti architettoniche dell’edificio interiore riesce, solo lui, a fornirci la chiave per interpretare nella giusta direzione il significato di: spazio sacro, perfezione interiore.

Soltanto nel momento in cui il linguaggio delle parole si incontra con quello dei simboli, quindi soltanto attraverso la ritualità che diventa fonte di conoscenza per tutti i Fratelli, siamo in grado di comprendere come la perfezione dell’infinitamente grande, che è rappresentato dal Tempio intorno a noi, sia il solo simbolo da leggere per capire la perfezione dell’Universo che è rappresentato dal Tempio che deve esistere dentro di noi.

Permettetemi ora, Fratelli, una piccola digressione storica.

Fin dai tempi antichissimi il Tempio è certamente l’edificio, che più di ogni altro, possiede le caratteristiche che lo individuano come un’opera che trascende se stessa e la propria natura per divenire simbolo.

In ogni momento storico il Tempio ha rappresentato, comunque, l’aspirazione dell’uomo a raggiungere la perfezione dell’Ordine Universale ed ha contenuto dentro la sua struttura il simbolo del Cielo Stellato, che rappresenta l’immagine fisica della perfezione del Cosmo.

Dal quadrilatero dell’Aruspice di memoria greca, che individuava un rettangolo di cielo e trasferiva sulla Terra la sacralità cosmica, alle vele delle navate ed alle absidi stellate delle cattedrali fino al rettangolo di stelle di questo Tempio, questa è sempre stata l’immagine simbolica ricorrente.

Ed in essa si trova riflessa, con tutto il suo dinamismo, la perfezione architettonica universale.

Quando i Fratelli danno inizio, con ritualità, ai loro lavori architettonici, questo Tempio, fino ad ora così tridimensionalmente limitato, si trasforma in un luogo sacro, nel centro stesso dell’Universo.

Esso rappresenta allora uno spazio celeste, il divenire dell’Architettura Universale, ma anche il divenire dell’interiorità dell’uomo e quindi lo spazio celeste ritagliato nella sacralità del suo tempio interiore.

Qualsiasi impronta lasciata dalla cultura nella storia ci consente sempre di leggere al di sopra di tutto o fra le righe di tutto l’analogia tra macrocosmo e microcosmo, tra interiorità ed esteriorità, tra contenuto dell’uomo e contenuto del Tempio e ciò che è più importante tra percorso verso la perfezione interiore e percorso verso il perfezionamento del comportamento Massonico nel mondo profano.

Il Tempio rimane comunque, quindi, l’ombelico del mondo iniziatico, il tramite che unisce il macrocosmo al microcosmo, il tramite attraverso il quale l’uomo è illuminato, avvicinato alla Verità, fatto ricco di saggezza, poiché la vera ricchezza dell’uomo, come ci ricorda il rituale è: “… lavoriamo senza tregua al nostro miglioramento, perché è solo regolando le nostre inclinazioni ed i nostri costumi che perverremo a dare a noi stessi quel giusto equilibrio che costituisce la saggezza, cioè la scienza della vita” (da una Balaustra del 18 marzo 1989 del GOI).

Pertanto si possono percorrere, Fratelli carissimi, antiche strade oppure nuove, per ricercare quei valori che sono sempre attuali perché fanno parte della natura stessa dell’uomo, e con quelli tentare di costruire il Tempio.

L’uomo medesimo vuole essere il costruttore di se stesso e perciò chiede aiuto in questo alla universalità ed ai simboli nei quali è sicuro di trovare il filo di Arianna per compiere fino in fondo la propria opera.

Piegare la materia è difficile.

Piegare lo spirito per conquistare lo spirito è una battaglia che può essere facilmente perduta senza l’orientamento del trascendente.

Per questo noi chiediamo in prestito all’Ordine Celeste “il modello simbolico”, perché possiamo cominciare ad esistere dentro di noi.

Così coniugando indissolubilmente Ritualità, Simbolo e Tempio avremmo trovato il vero nesso tra esteriorità ed interiorità, tra sembrare Massoni ed essere Massoni.

Fr:.

L’antroposofia di Rudolf Steiner

L’Antroposofia di Rudolf Steiner

“Vuoi conoscere te stesso? Guarda nella vastità del mondo.

Vuoi conoscere il mondo? Guarda dentro te stesso .” (R. Steiner)

Premessa

Il movimento antroposofico, fondato da Rudolf Steiner (1861-1925) e particolarmente diffuso nei paesi di lingua tedesca, è sorto con l’intenzione di opporre al materialismo e al positivismo scientifico una visione di tipo mistico.

La parola antroposofia deriva dal greco anthropos (uomo) e sophia (sapienza).

Essa non va confusa con l’antropologia, che si riferisce allo studio empirico delle culture umane.

Secondo la definizione di Steiner l’antroposofia è la “scienza dello spirito” avente lo scopo di investigare e descrivere fenomeni spirituali per mezzo della “osservazione animica mediante metodo scientifico”. La ricerca antroposofica ambisce a raggiungere la stessa precisione e chiarezza dell’approccio scientifico delle scienze naturali nell’investigazione e descrizione del mondo fisico.

Partendo da una base esoterica di tradizione teosofica, l’antroposofia si è via via evoluta in una filosofia propria, diretta verso l’uomo e la sua salvezza, attraverso lo sviluppo fisico-spirituale.

Il lavoro iniziale puramente filosofico condusse Steiner dalla coscienza interiore del pensare a una crescente considerazione dell’esperienza spirituale: “l’antroposofia è una via di conoscenza che tende a congiungere lo spirituale che è nell’uomo con lo spirituale dell’universo”:

Vita di R. Steiner: cenni

R. Steiner nacque il 27/2/1861 a Kraljevic, presso la frontiera austro-ungarica (oggi Croazia), e morì il 30/3/1925 a Dornach in Svizzera.

All’età di sette anni ebbe una esperienza decisiva. Gli si avvicinarono le prime sottili impressioni di un mondo che non è quello terreno, che però si può ”udire” e “vedere” anche se con occhi e orecchi diversi da quelli “fisici”: si trattò, in buona sostanza, di un episodio in cui Steiner si accorse di avere doti di veggenza naturale e spontanea che, da quel momento, lo portarono ad essere in contatto con gli esseri spirituali celati dietro ad ogni forma vivente, che a lui si rivelava non su un piano fisico ma in uno “spazio animico interiore”.  Il piccolo sentì che simili cose non sarebbero state comprese dal suo ambiente e non ne fece parola ad alcuno.

Durante l’adolescenza fece un’altra scoperta entusiasmante, la geometria, che gli apparve come un simbolo di quel mondo spirituale la cui realtà era per lui altrettanto certa di quella del mondo fisico.

La sua visione del mondo spirituale come “realtà” trovava però ben poca accoglienza. Con una persona, però, Steiner poté finalmente parlare delle sue esperienze (si era nel 1879) ricevendone insegnamenti preziosi; fece la conoscenza di un modesto erborista, che però possedeva una sapienza interiore profonda che lo portava ad immergersi consapevolmente nei misteri della natura, di cui percepiva la spiritualità, con il quale fu possibile a Steiner parlare del mondo spirituale come con uno che aveva esperienza in proposito.

Steiner comunque non riusciva a trovare un ponte tra le scienze naturali, come venivano insegnate nelle università, e la visione spirituale che sperimentava nell’intimo della sua anima.

Per guadagnarsi da vivere  Steiner dava lezioni ai ragazzi.  Fra i suoi allievi c’era un ragazzo di dieci anni affetto da idrocefalia, molto arretrato nell’istruzione sapendo appena leggere e scrivere. Steiner si dedicò tutto alla sua educazione, ideando metodologie speciali che coinvolgevano globalmente il ragazzo a livello fisico, mentale e spirituale, e riuscì a portarlo alla normalità al punto che poté frequentare l’università e divenire medico.  Questa costituì per Steiner una fondamentale esperienza che gli servì di base per il suo sistema pedagogico che tendeva a un’armonica crescita del corpo, della mente e dello spirito.

L’altra esperienza fondamentale di quegli anni fu quella legata a Wolfgang Goethe; tramite il suo professore di letteratura ebbe occasione di conoscerlo ed apprezzarlo, sia come poeta che come scienziato. Crebbe in lui la convinzione che la scienza moderna, negatrice dello spirito, poteva solamente afferrare ciò che nella natura è morto, mai l’elemento vitale. Le concezioni di Goethe lo affascinavano, particolarmente quella relativa al rapporto fra il mondo della natura e quello dello spirito che, secondo Goethe, non sono separati ma collegati, e ciò corrispondeva al suo pensiero.

Nel 1885 ebbe l’incarico di curare l’edizione delle opere scientifiche di Goethe, il che gli dette la possibilità di approfondire notevolmente i suoi studi in questo campo. Per il lavoro all’archivio goethiano Steiner visse a Weimar dal 1890 al 1897, riuscendo nel frattempo a laurearsi in filosofia.

Mentre attendeva al lavoro editoriale, Steiner iniziò a pubblicare vari scritti che anticipavano le sue future idee ma che erano situabili all’interno del clima filosofico e scientifico della sua epoca. Il suo primo scritto fondamentale fu La filosofia della libertà (1894), in cui egli esprime le proprie concezioni filosofiche e fornisce i primi accenni all’antroposofia: il concetto di base del libro è che l’uomo è in grado attraverso il proprio pensiero puro, cioè svincolato da ogni condizionamento terreno, di conoscere le leggi che governano l’universo; riconoscendo e accettando queste leggi, l’uomo diviene libero interiormente e, agendo in armonia con esse, è libero anche nel proprio agire.

Lo sviluppo degli studi di Steiner lo condusse sempre di più verso la ricerca filosofica e spirituale. Questi studi interessarono soprattutto chi era già orientato verso idee di carattere spirituale e principalmente tra questi vi era la Società Teosofica[1]. Gli fu chiesto di dirigere la sezione tedesca di questo gruppo; Steiner accettò l’incarico alla condizione però di mantenere la propria libertà intellettuale e la propria impostazione di pensiero, la quale differiva da quella dei teosofi in particolare per il diverso peso dato all’esperienza cristiana rispetto a quella filosofica-religiosa dell’oriente. Per i teosofi quest’ultima era l’unica meritevole di essere presa in considerazione ed essi avevano ben poca sensibilità per la figura del Cristo, la cui manifestazione costituiva invece per Steiner l’evento centrale di tutta la storia dell’umanità. Per la maggior parte dei teosofi Gesù Cristo era una grande anima e un grande maestro, allo stesso modo di Confucio, Buddha, Lao-Tze ed altri; Steiner, che peraltro non negava valore alla tradizione orientale, riteneva dal canto suo che soltanto la tradizione occidentale cristiana potesse aiutare a risolvere i problemi del mondo occidentale, in particolare il materialismo, del quale la società era sempre più preda. Anche sul metodo Steiner aveva le sue idee, che intendeva fossero rispettate: niente rivelazioni su basi occulte, ma sperimentazione seria e concreta di tipo scientifico.

Il rapporto con la Società Teosofica, iniziato nel 1902, si interruppe nel 1913. L’occasione fu data dalla questione concernente Jiddu Krishnamurti: questi era un ragazzo indiano che l’allora presidente della Società Teosofica, Annie Besant, intendeva presentare al mondo come il Cristo reincarnato. Steiner si oppose fermamente,  considerando tale accostamento destituito di ogni fondamento (come, del resto, fece lo stesso Krishnamurti quando divenne adulto). Si trattò soltanto di un  episodio finale, in quanto la separazione era già in atto da tempo a causa delle differenze filosofiche sopra accennate.

Da allora in poi Steiner si dedicò interamente al suo movimento antroposofico (nel 1912 venne fondata la Società Antroposofica). Steiner aveva ormai raggiunto una considerevole statura come maestro spirituale: affermava di avere diretta esperienza della cronaca dell’Akasha, una cronaca spirituale della preistoria, della storia e del futuro del mondo codificata nel piano eterico dell’essere.[2]

Venne data espressione anche ad aspetti dell’antroposofia che fino a quel momento erano rimasti in ombra,in particolare l’impulso artistico.[3] Per rappresentare alcuni misteri drammatici scritti dallo stesso Steiner e per svolgere attività artistiche, culturali e sociali fu costruito un grande centro culturale, chiamato Goetheanum in omaggio a Goethe, a Dornach presso Basilea, in Svizzera, negli anni 1913-1915, dove venne fissata anche la sede della Società Antroposofica e della “Libera Università di Scienza dello Spirito” (fondata nel 1923).[4]

Dopo la prima guerra mondiale il movimento antroposofico entrò nella fase di attuazione pratica: a Dornach vennero tenuti corsi su problemi scientifici, medici, artistici, pedagogici, religiosi ed economico-sociali; sorsero scuole, centri per disabili, aziende agricole biodinamiche e cliniche mediche, tutte ispirate dalla ricerca antroposofica; venne costituita la Fondazione Waldorf, l’iniziativa pedagogica di maggior successo.

Steiner morì nel 1925, ma l’attività antroposofica continuò in tutti i paesi che egli aveva raggiunto durante la sua vita, espandendosi in molti altri. Seminari, gruppi di formazione artistica e istituzioni come scuole, aziende agricole e cliniche sono sorte in tutto il mondo, ispirate dall’idea che il lavoro spirituale può essere condotto sistematicamente e metodicamente su base scientifica in armonia con gli impegni esteriori.

Antroposofia: descrizione

R. Steiner ha lasciato quattro libri fondamentali (“La filosofia della libertà” – 1894, “Teosofia” – 1904, “L’iniziazione” – 1904/1905 e “La scienza occulta” – 1910) oltre ai resoconti di innumerevoli conferenze.

Il principio ispiratore di tutto il suo pensiero è racchiuso in queste parole: “La nostra epoca non deve partorire nuovamente una saggezza antica, ma una saggezza nuova in grado non soltanto di risalire al passato, ma anche di agire come una profezia, come un’apocalisse, verso il futuro”:

In Steiner c’era l’incrollabile convincimento della realtà dei mondi spirituali, realtà che per lui era esperienza diretta; egli riteneva che il mondo spirituale fosse altrettanto percepibile quanto il mondo che si manifesta ai nostri sensi. Egli dedicò tutta la sua vita al fine di trovare nuovi metodi per lo studio dell’anima su base scientifica. Partendo dal presupposto che esista un mondo soprasensibile, egli indagò gli aspetti non materiali dell’uomo con lo stesso processo  di elaborazione pensante che porta alla conoscenza scientifica, senza cedere però nello spiritismo. Ciò ha significato riadattare alcuni principi al fine di poterli utilizzare in un campo non sensoriale-percettivo.

Per l’antroposofia applicare il metodo scientifico allo studio dell’anima vuol dire far sì che ogni evento della propria vita possa essere seguito in modo cosciente in ogni sua tappa e possa essere ripercorso.

Nelle sue opere Steiner descrive l’uomo visibile e quello invisibile, parla della guida spirituale dell’umanità, afferma che la morte è un passaggio dalla vita terrena a quella spirituale e presenta agli occidentali la dottrina orientale della reincarnazione, che egli considera una necessità cosmica, un meccanismo di assoluta giustizia che dà la libertà di progredire o anche eventualmente di regredire.

Prendendo le mosse da Goethe, il cui Faust riesce alla fine a sfuggire a Mefistofele al quale aveva venduto l’anima e può salvarsi raggiungendo il Divino, Steiner indica all’uomo il modo per far emergere le proprie facoltà spirituali.

La soppressione di ogni forma di egoismo è premessa e base per una vita superiore; noi siamo immortali nella misura in cui facciamo morire in noi l’egoismo: esso è la parte mortale di noi.

La grande sete di conoscenza diresse Steiner verso alcune concezioni che non erano quelle delle confessioni religiose, il cui insegnamento ufficiale concerne un mondo dell’aldilà che  l’uomo non può raggiungere sviluppando le proprie forze spirituali. Ciò che la religione insegna, ciò che essa dà come legge morale, proviene da rivelazioni esterne all’uomo. A questo si opponeva la sua concezione dello spirito con l’affermazione che il mondo spirituale è altrettanto percebile quanto il mondo che si manifesta ai sensi; e vi si opponeva anche il suo principio di individualismo etico, per cui la morale non va ricevuta dall’esterno, sotto forma di legge, ma deriva dallo sviluppo dell’entità animico-spirituale dell’uomo, in cui vive un elemento divino.

L’antroposofia, benché apprezzi tutte le religioni e gli sviluppi culturali, mette in evidenza il pensiero esoterico occidentale (piuttosto che l’antico pensiero esoterico indù o buddhista) come il più appropriato per le necessità contemporanee, e percepisce Cristo e la sua missione sulla terra come aventi un posto particolarmente importante nell’evoluzione umana.

Steiner non riuscì a trovare il cristianesimo che cercava in nessuna delle confessioni esistenti, cosicché, dopo dure lotte animiche, dovette immergersi lui stesso nella realtà del cristianesimo, e precisamente in quel mondo dello spirito di cui il cristianesimo è l’espressione.

 Steiner si avvicinò al cristianesimo in maniera non dogmatica e confessionale: ciò che lo interessava era la figura del Cristo e il significato della sua morte. Gesù Cristo era per lui sì il personaggio storico che si era manifestato al mondo nascendo a Betlemme e morendo sul Golgota, ma anche un’entità eterna, un essere solare che gli antichi avevano adorato sotto nomi diversi – Osiride, Horus, Apollo ecc. – e che si era fatto redentore dell’umanità per sempre.  Cristo e la sua missione sulla terra non sono visti nello stesso modo della corrente principale delle Chiese cristiane. Steiner metteva in evidenza che l’essere che si manifesta nel cristianesimo si manifesta anche in tutte le fedi e religioni; è l’essere che unifica tutte le religioni, e non una particolare fede religiosa, che Steiner vide come la forza centrale nell’evoluzione umana.

Il cristianesimo di Steiner è anche diverso da quello degli gnostici, che vedevano il fenomeno Cristo tramite la conoscenza ottenuta attraverso il primo gnosticismo, mentre l’incarnazione del Cristo di Steiner fu una realtà storica e un punto unico e fondamentale della storia umana. Steiner fa di Cristo un “principio”, un impulso cosmico, che continua a tenere in moto l’evoluzione. Secondo lui si tratterebbe dell’impulso all’autoredenzione, all’avanzamento del processo evolutivo attraverso le incarnazioni e la somma di buone opere.

L’uomo, la cui origine è il macrocosmo, dopo l’esistenza fisica, attraverso la morte, entra di nuovo in un’esistenza macrocosmica. Quello che noi vediamo in misura limitata in ogni uomo ci viene incontro a grandi dimensioni nel rappresentante dello spirito del cosmo, Gesù Cristo. E questo impulso dato da Cristo poté essere dato soltanto una volta, perché non si ripresenterà mai più la costellazione che si manifestò a quel tempo. Questa costellazione dovette agire attraverso un corpo umano per poter trasmettere l’impulso alla terra; e come questa costellazione non si presenterà una seconda volta, così Cristo si è incarnato una volta sola e non apparirà di nuovo sulla terra.

Fondamentali per la comprensione del pensiero di Steiner sono anche le conferenze tenute sui Vangeli. Egli mostra come i Vangeli non volessero esporre una biografia nel senso comune del termine; egli fece vedere che in essi il Cristo viene descritto come un essere divino che, dopo aver vissuto nel corpo di Gesù, impresse all’evoluzione non solo dell’umanità, ma della terra e del cosmo intero, un nuovo grandioso impulso. Da allora una potente forza spirituale-cosmica agisce sulla terra ed egli, il Risorto, è per sempre unito alla sfera terrestre (“…io sarò con voi tutti i giorni…”).

Steiner fa inoltre vedere che i Vangeli solo apparentemente espongono le opere del Cristo come fatti che hanno avuto luogo sul piano terrestre; in realtà essi additano eventi che furono naturali e soprannaturali nello stesso tempo, e con ciò fu gettata una nuova luce su molti “miracoli”.

Comunque l’antroposofia, per la sua stessa essenza, non interviene mai in alcuna confessione religiosa: essa non è  e non vuole essere una confessione religiosa, e neppure tende a trasformare l’uomo in rapporto alla sua religione. Le diverse confessioni possono convivere serenamente e tendere alla conoscenza dei fatti spirituali nella più completa armonia.

Nell’opera Teosofia (da intendersi nel significato etimologico di “sapienza divina”), dedicata a Giordano Bruno, Steiner espone compiutamente le idee di base dell’antroposofia. In essa Steiner descrive la natura soprasensibile dell’uomo e i suoi legami con il mondo dello spirito. L’autore non vi fa altro appello al lettore se non quello di servirsi della propria cosciente facoltà di percezione e di esercitare il proprio pensiero libero da pregiudizi.

In questo volume Steiner parla della tripartizione dell’uomo: egli (l’uomo) si rende conto di essere unito al mondo in maniera triplice.

Il primo modo è qualcosa che egli si ritrova nascendo e che deve accettare come un dato di fatto; attraverso il secondo modo egli si appropria del mondo, lo rende qualcosa di importante per lui; il terzo modo è da lui considerato come una meta verso la quale deve tendere incessantemente.

Ne deriva che l’uomo reca in sé tre aspetti, che vengono indicati con le tre parole:

-          corpo: si intende ciò con cui si rivelano all’uomo le cose del mondo circostante;

-          anima: si intende ciò attraverso cui l’uomo collega le cose al proprio essere, ricavandone impressioni e sensazioni;

-          spirito: si intende ciò che viene rivelato all’uomo quando egli considera le cose come “essere simile a Dio”, per usare l’espressione di Goethe (gli si rivela ciò che le cose stesse custodiscono in sé).

In questo senso l’uomo consiste di corpo, anima e spirito. L’uomo, afferma Steiner, “è cittadino di tre mondi: con il corpo appartiene al mondo che percepisce attraverso il corpo stesso, con l’anima si costruisce il proprio mondo, attraverso lo spirito gli si rivela un mondo superiore agli altri due”.

Questa visione  antroposofica dell’uomo viene integrata e ampliata in relazione all’educazione dei fanciulli. Al riguardo vengono riconosciuti nell’uomo quattro elementi:

-          il corpo fisico, in comune con il regno minerale;

-          il corpo eterico, in comune con le piante e gli animali: è quello della forza vitale (crescita, riproduzione ecc.);

-          il corpo astrale, in comune con gli animali: è quello delle sensazioni (portatore delle sensazioni: gioia, dolore, passioni ecc.);

-          il corpo dell’IO, di cui è portatore soltanto l’uomo.

L’IO è un mondo a sé, quello nel quale Dio comincia a manifestarsi dall’interno. Il corpo dell’IO è latore della superiore anima umana; in virtù di essa l’uomo è la corona della creazione terrestre. Non tutti gli esseri umani si trovano allo stesso grado di sviluppo dell’IO; il compito dell’IO consiste nel nobilitare e purificare gli altri corpi. Tutta l’evoluzione della civiltà umana si esprime in questo lavoro dell’IO sui corpi inferiori. Ciò che viene chiamato coscienza non è che il frutto del lavoro dell’IO sul corpo eterico.

Quando l’IO diventa così vigoroso da trasformare per forza propria il corpo astrale (delle sensazioni) viene chiamato sé spirituale. Quando, attraverso la forza del proprio IO, l’uomo diventa partecipe di un insegnamento superiore, egli trasforma il corpo eterico (vitale) in spirito vitale. Elevandosi ancora di più, l’uomo può agire anche sul corpo fisico trasformandolo in uomo-spirito.

L’antroposofia attribuisce i seguenti nomi a questi corpi trasformati: il corpo astrale trasformato dall’IO si chiama anima senziente, il corpo eterico anima razionale, il corpo fisico anima cosciente.

E’ intorno ai quattro elementi sopra descritti che viene svolto il lavoro degli educatori dal punto di vista della scienza dello spirito.

Steiner parla inoltre di reincarnazione e karma.

Lo spirito umano ha bisogno per la sua evoluzione e porta con sé, in ogni incarnazione, i frutti delle vite precedenti. L’anima vive nel presente, ma tale vita non è indipendente dalle vite precedenti. Lo spirito che si incarna reca infatti in sé, dalle incarnazioni precedenti, il suo destino, che determina la vita. Il corpo soggiace alle leggi dell’ereditarietà, l’anima al destino che essa stessa si è creata. Il destino che l’uomo si è creato viene chiamato karma. Lo spirito soggiace alla legge della reincarnazione…lo spirito è immortale.

Steiner non vede contrasto tra la sua fede in Cristo e la sua adesione alla dottrina della reincarnazione, in quanto per lui il ripetersi delle vite terrene è un fatto scientifico-spirituale (anche se nella Bibbia non si trova nulla in proposito).

Nella reincarnazione abbiamo l’immagine della triplice essenza dell’uomo (corpo, anima e spirito). Ad ogni nuova incarnazione l’uomo si trova in un organismo fisico sottoposto alle leggi naturali ed è il medesimo spirito umano; come tale, egli è l’elemento eterno delle molte incarnazioni. Corpo e spirito stanno uno di fronte all’altro; fra i due deve trovarsi un terzo elemento: l’anima. Essa conserva gli effetti delle azioni compiute nelle vite precedenti e fa sì che lo spirito che si presenta in una nuova incarnazione sia lo stesso di quella precedente, però influenzato dalle vite trascorse. In questo modo corpo, anima e spirito sono collegati fra loro. Lo spirito è eterno, il corpo è mortale, l’anima periodicamente li ricongiunge, intessendo il destino con il materiale delle azioni.

Il karma non deve essere considerato come un destino non influenzabile dall’uomo, come una fatalità: esso è invece perfettamente compatibile con la libertà e la volontà individuali. Il karma porta la certezza che nessuna azione, nessun evento umano rimane senza effetto o si compie nel mondo all’infuori di ogni legge, ma anzi si adegua ad una legge di giustizia, di compensazione. Se non esistesse il karma, nel mondo regnerebbe l’arbitrio. L’azione dell’uomo è  libera, ma il suo effetto è soggetto a leggi fisse.

Nel libro L’iniziazione – Come si consegue la conoscenza dei mondi superiori viene descritto il metodo con cui si possono raggiungere i medesimi risultati conseguiti da Steiner nel corso della sua vita.

Il libro si apre con queste parole: “Esistono in ogni uomo facoltà latenti per mezzo delle quali egli può conquistarsi conoscenze dei mondi superiori”. Scrivere una frase di questo genere significa rompere una tradizione antichissima in base alla quale il sapere occulto, le conoscenze superiori, possono essere fatti propri soltanto dagli adepti di cerchie esoteriche chiuse.

Per pervenire alla conoscenza dei mondi superiori è necessario prima di tutto prepararsi interiormente, purificarsi, rendersi degni di acquisizioni di questo genere. Steiner indica quale debba essere l’atteggiamento interiore necessario:

- per ogni passo che si cerca di fare nella conoscenza delle verità occulte ne devono essere fatti tre nel perfezionamento del carattere verso il bene;

- gli uomini che veramente sanno sono i più modesti e lungi da loro è il desiderio di ciò che è chiamato potere;

- si può ascendere alle vette dello spirito soltanto attraverso la porta dell’umiltà;

- ogni pregiudizio deve essere abbandonato;

- dirigi ogni azione, ogni parola in modo che per opera tua non venga recata offesa alla libera volontà di alcuno;

- i sentimenti costituiscono per l’anima ciò che per il corpo sono le sostanze nutritive…per l’anima la venerazione, il rispetto, la devozione sono sostanze nutritive che la rendono sana, forte, soprattutto per l’attività conoscitiva;

- cerca momenti di calma interiore e impara in questi momenti a distinguere l’essenziale dal non essenziale;

- la meditazione  è il mezzo per giungere alla conoscenza soprasensibile;

- ogni conoscenza ricercata al solo fine di arricchire il proprio sapere e di accumulare ricchezze fa deviare dalla strada; ogni conoscenza ricercata per maturare e nobilitarsi porta avanti di un passo;

- ogni idea che non diventa un ideale uccide una forza dell’anima; ogni idea, invece, che diventa un ideale crea forze vitali;

- impara a non parlare delle tue visioni spirituali.

Le applicazioni dell’antroposofia

I principi dell’antroposofia, scienza dello spirito, hanno trovato applicazione in molteplici campi. Secondo le parole dello stesso Steiner, “l’antroposofia non vuole essere solo una dottrina orientata sulle necessità di vita e conoscenza degli uomini, ma anche una forza, di tipo spirituale, che può penetrare e far fruttificare l’uomo in tutte le sue capacità. In questo modo la vita antroposofica è un fattore operante nei diversi campi dell’esistenza umana”.

Si rimane colpiti dalla quantità di nozioni che Steiner aveva nei più diversi campi dello scibile, ad esempio in quello medico e farmaceutico, nozioni che non poteva certo aver acquisito con lo studio (aveva studiato prima ingegneria e poi filosofia) e che sono indubbiamente da ricondurre alle sue doti di intuizione e veggenza, di cui egli non parlò mai in maniera diretta.

Questione sociale.

In questo ambito Steiner elaborò il concetto di “tripartizione dell’organismo sociale”, con il quale intese una suddivisione netta tra interessi culturali, politici ed economici, suddivisione che a suo giudizio era necessaria per salvaguardare la dignità di ogni cittadino e i suoi diritti, per porre freno allo strapotere dello Stato e per favorire di conseguenza la pacifica convivenza.[5]

Per ognuno dei tre settori Steiner previde un’organizzazione a sé stante.

Libertà spirituale, uguaglianza di fronte alla legge e fraternità attiva nella vita pratica erano le ricette che Steiner suggeriva per la soluzione dei problemi sociali: progetti forse utopistici, ma estremamente avveniristici e positivi.

Al giorno d’oggi nel mondo vi è un certo numero di banche innovative, istituzioni caritatevoli e scuole per sviluppare nuove forme collaborative di lavoro, funzionanti in parte in base alle idee sociali di Steiner. Un esempio è la Fondazione Rudolf Steiner, costituita nel 1984, che fornisce “innovativi servizi finanziari caritatevoli”. La prima banca fondata sulle idee di Steiner è stata costituita in Germania nel 1974.

Pedagogia (le scuole Waldorf)

Come già visto in precedenza, Steiner trattò l’educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito. Egli mostrò come una giusta comprensione delle leggi che governano il divenire del fanciullo e dell’adolescente dovesse sfociare in una pedagogia completamente nuova.

Il piano di studi e il metodo da utilizzare furono concepiti per corrispondere, per quanto possibile, a necessità materiali e morali ben determinate che sorgono durante il divenire dell’essere umano. Fondamentalmente il compito dell’educatore è quello di aiutare il bambino, quale essere costituito da corpo, anima e spirito, a orientarsi nella vita.

Le scuole che si basano sui principi antroposofici si chiamano Waldorf dal nome della fabbrica tedesca di sigarette Waldorf-Astoria, il cui direttore dette a Steiner lo stimolo a definire la sua pedagogia incaricandolo di fondare una scuola aziendale.

Medicina

Si tratta di un ampliamento della scienza medica secondo le conoscenze dell’antroposofia, consistente fondamentalmente nel considerare, in base all’indagine soprasensibile, l’aspetto psichico e spirituale  del paziente nella diagnosi e nella terapia della sua malattia.

Per essere un vero medico nel senso antroposofico della parola bisogna, diceva Steiner, essere prima di tutto medico nel senso della medicina ufficiale; i suoi contributi avevano soltanto lo scopo di ampliare la medicina generalmente praticata, non di sostituirla.

Oltre ai suggerimenti di tipo medico, Steiner ne fornì anche molti di tipo farmacologico: indicò medicamenti erboristici da utilizzarsi per varie malattie. Sulla base di tali indicazioni è sorto, per esempio, il laboratorio Waleda AG in Germania.

Agricoltura

Steiner è stato l’iniziatore di quella che oggi viene chiamata agricoltura biodinamica, le cui coltivazioni si basano sulla conoscenza degli armonici ritmi naturali e dei processi vitali. La materia viene considerata animata, portatrice di poteri terreni e cosmici.

Euritmia

Secondo la definizione di Steiner, è l’arte plastica del movimento i cui mezzi espressivi sono costituiti da forme in movimento dell’organismo umano, sia in sé stesse che nello spazio, e anche da gruppi umani in movimento. Non si tratta di gesti mimici o movimenti di danza, ma di un autentico linguaggio o canto visibili. L’euritmia consiste prevalentemente dei movimenti creativi di braccia e mani; attraverso essa è possibile rappresentare in un linguaggio visibile un brano musicale o un testo recitato e declamato. Ogni linguaggio poetico è già una segreta euritmia; chi recita o declama deve trarre dalla poesia gli elementi pittorici, plastici e musicali che l’autore vi ha immesso.

L’euritmia si serve di tutto l’essere umano per esprimersi: è l’arte dell’equilibrio tra pensare, sentire e volere, le tre facoltà dell’anima umana. Ogni movimento deriva dall’organizzazione interiore dell’uomo. Tali movimenti non possono in alcun modo essere arbitrari, come non può esserlo il linguaggio. L’euritmia è quindi una vera e propria espressione della natura umana e può essere sviluppata soltanto attraverso un’autentica conoscenza dell’essere umano.

Nata dall’arte, l’euritmia può svilupparsi in due modi: come euritmia pedagogica, realizzando nel movimento la completa armonizzazione di corpo, anima e spirito; come euritmia terapeutica, modificando gesti e movimenti in modo che corrispondano alla malattia e alla natura della persona malata.

Conclusioni

Quello di Steiner appare un personaggio molto particolare e complesso, per certi aspetti inquietante. Indiscutibilmente però gli va riconosciuto il merito di aver indicato una via per trasformare sé stessi e di conseguenza il mondo circostante. Come sappiamo bene noi massoni, è infatti evidente che se non cambia la coscienza individuale, a poco potranno servire i mutamenti sociali e politici imposti dall’esterno: il cambiamento deve avvenire prima di tutto dentro di noi e poi da lì ripercuotersi all’esterno.

Steiner è stato un apostolo del cammino dinamico dell’uomo verso la sua meta autentica, cammino che può essere intrapreso solo consapevolmente e per iniziativa personale. Egli ha inteso far capire all’uomo che in lui esistono potenzialità e capacità di trasformazione ed elevazione, e che è quindi suo compito lavorare costantemente alla propria crescita e al proprio destino.

Steiner non volle mai passare per occultista e il suo scopo ultimo, come abbiamo più volte evidenziato, era quello di integrare la ricerca spirituale nella scienza. Egli può essere considerato, quindi, un grande iniziato del nostro tempo, teso a far percepire, attraverso un metodo il più possibile scientifico, la dimensione spirituale, cioè l’altra faccia della realtà, e ad affrontare conseguentemente quel rinnovamento interiore che tale conoscenza comporta.

Fr:.



[1] Teosofia: il termine deriva dal greco (theòs=Dio e sophia=saggezza, sapienza) e significa quindi “sapienza divina”. Oggi esso è legato soprattutto al movimento creato nel 1875 da H. P. Blavatsky, che cominciò a divulgare una dottrina spirituale che aveva come motto: “Non vi è religione più alta della verità” – una dottrina costituita dagli insegnamenti che stanno alla base di tutte le grandi religioni, che comprende la dottrina della reincarnazione e del “karma” e si propone di aiutare l’uomo a mettere in atto il suo ritorno all’Assoluto attraverso un cammino evolutivo stimolato dalle pratiche della meditazione e della contemplazione e dall’esercizio di virtù quali la giustizia, l’amore, la fratellanza, la vera sapienza. I suoi scopi, oggi come allora, sono i seguenti:

- formare un nucleo della Fratellanza Universale dell’umanità, senza distinzione di razza, credenza, sesso, casta e colore;

- incoraggiare lo studio comparato delle religioni, delle filosofie e delle scienze;

- indagare le leggi inesplicate della Natura e i poteri latenti dell’uomo.

La Società Teosofica ha sede a Adyar presso Madras in India.

[2] La cronaca dell’Akasha è  una misteriosa cronaca eterea, situabile in qualche luogo indefinito fra la terra e il cielo, che conterrebbe la descrizione di tutti gli avvenimenti passati, presenti e futuri. Si tratta di una memoria universale che ha le sue origini nell’induismo, nella quale colui che medita può penetrare tramite la fusione con il macrocosmo.

[3] Secondo Steiner l’arte è l’unica forma d’espressione che può parlare direttamente alla vita affettiva dell’uomo senza privarlo del suo libero giudizio.

[4] Questi gli scopi delle due istituzioni:

della Società Antroposofica, promuovere la ricerca in campo spirituale;

della Libera Università, la ricerca stessa.

Ogni dogmatismo in qualsiasi campo doveva essere escluso dalla Società Antroposofica.

[5] L’antroposofia ha anche il proprio concetto di storia: secondo Steiner la nostra epoca attuale cade nel periodo post-Atlantico, poiché nella sua visione il disastro che dice di aver colpito Atlantide nel 7227 a.C. fu un punto di svolta significativo nella vita dell’uomo. Questo periodo post-Atlantico è diviso in sette epoche, l’attuale essendo l’epoca Europeo-Americana che durerebbe, secondo Steiner, fino all’anno 3573 d. C.

Il destino come scelta

Il Destino come scelta

Da sempre uno dei più grandi interrogativi dell’uomo è dare una risposta chiara e sicura a quale sia il bersaglio finale della vita, ovvero il perché di essa: se la vita abbia un senso di per sé o se acquisisca un senso una volta scoperto ciò che c’è dopo di essa.

Milioni di domande, milioni di risposte.

Non una di esse per la verità certe.

Questa cascata di quesiti e di dubbi, anche se non hanno dato una risposta precisa, tuttavia hanno sicuramente fatto dell’uomo un ricercatore.

Del resto la ricerca di per sé può essere più importante della stessa scoperta, infatti ricercare significa “tracciare un percorso verso”, vuol dire disegnare una strada e istituire una metodologia; al di fuori della quale non esiste oggettivamente nessuna possibilità di vedere il volto di un risultato finale qualunque esso sia.

Ecco che appare molto chiaro che, di per sé, l’uomo ha la necessità di razionalizzare un percorso che porti a conquiste e scoperte oggettivamente valide per tutti.

Si potrebbe dire che questa via da tracciare, questa strada da percorrere è la strada che porta l’uomo a realizzare il perfezionamento di sé, ad ogni livello.

Ora, noi cari Fratelli conosciamo il landmarks e le finalità peculiari della nostra Istituzione.

La massoneria è l’unica via tracciata verso il miglioramento di sé e dell’umanità, affinché alla fine di essa si scorga la luce della verità.

E’ quindi il destino dell’uomo il bersaglio più importante, il fine per cui l’uomo è chiamato a distinguersi intellettualmente nell’Universo Naturale, dentro al quale si nasconde la Regola Universale del Logos Eterno, la norma sulla quale si fonda la Tavola del Grande Architetto dell’Universo.

Nel 1750 la Costituzione preliminare della Gran Loggia Nazionale napoletana, si espresse, tra l’altro, come segue: “Tutti coloro che sono stati ricevuti nell’Ordine, sono tenuti a promettere che per l’Avvenire anteporranno il piacere di sapere al desiderio di risplendere …”.

Il Gran Oriente d’Italia in una riunione del Consiglio Regionale Settentrionale Napoleonico, 1806, disse: “La Massoneria ha per fine il perfezionamento degli uomini col mezzo del percorrere la libera strada alla verità …”.

Nei “dodici punti” adottati dalla Gran Loggia Nazionale di Francia e similmente dalla Gran Loggia di Spagna negli anni ’60 al 3° e 4° punto si legge:

3° – “La Massoneria è un ordine a cui possono appartenere soltanto uomini liberi e che insegnino la libertà …”.

4° – “La Massoneria ha per obiettivo il perfezionamento morale dell’umanità intera, attraverso la libertà …”.

Allora, cari Fratelli, sembra che sia chiaro che da un lato uno degli scopi principali dell’uomo sia il proprio miglioramento, e dall’altro questo miglioramento lo si possa raggiungere soltanto attraverso la metodologia della libera ricerca massonica: l’unica via che attraversa la luce del libero arbitrio ha la possibilità di ottenere la consapevolezza della conoscenza.

La Massoneria indica che il destino dell’uomo è tendere a realizzare la perfezione interiore e che questo può essere realizzato esclusivamente da uomini liberi e di buoni costumi.

Questo migliorarsi che è divenuto il destino dell’uomo sarà inevitabilmente il miglioramento qualitativo e non quantitativo, che la scelta del massone rende possibile trasformando l’ideale dell’utopia in concreta ideologia della vita morale.

In questa mia Tavola non si parla di escalation economica, di potere, o di livello sociale; il nostro discorso ruota d’intorno ai contenuti, a quelle qualità dell’uomo, che gli permettono di definirsi tale e che gli danno la forza di autodeterminarsi.

Si può assolutamente escludere che il destino dell’uomo, il fine ultimo che da un senso al suo esistere, sia quello del ledonismo del vivere quotidiano.

Se fosse così egli non sarebbe diverso da qualsiasi altra parte piccola o grande del mondo della natura che soggiace armonicamente, ma tuttavia passivamente, al percorso dell’evoluzione della vita.

La verità è che l’uomo, contenendo dentro di sé le motivazioni microcosmiche del macrocosmo cui appartiene, ha la oggettiva possibilità, il diritto intellettuale, di operare delle scelte.

E’ appunto nell’ambito di questa possibilità che l’uomo si può distinguere come essere consapevolmente “libero e di buoni costumi”, oppure come un essere che, pur avendo dentro di sé il diritto a compiere il percorso naturale non ha la capacità di operare scelte morali di spessore universale.

E’ inevitabile a questo punto notare la coincidenza tra il cosiddetto destino dell’uomo (Uomo con la U maiuscola) e la metodologia massonica: ed è altrettanto inevitabile la conclusione che l’unico destino dell’uomo è la scelta della Massoneria.

Questo non è da intendersi come una cieca casualità, come la mano dogmatica di una divinità che ti rinchiude dentro un contenitore obbligato che è la tua vita, il destino va inteso come un progetto e io suo bersaglio finale è la realizzazione di esso.

Il destino è una strada verso il raggiungimento del solo scopo che l’uomo liberamente e autonomamente ha deciso di dare alla propria vita.

Il destino è una scelta.

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