Sulla bioetica ed in particolare sull’eutanasia

Sulla bioetica ed in particolare sulla eutanasia

La bioetica è una materia che si occupa dell’etica applicata alla parte più biologica della vita, in particolare si interessa:

1) della vita embrionale;

2) della vita del nascituro;

3) dei trapianti;

4) della fine della vita.

E’ una materia nuova, divenuta attuale col progresso delle scienze mediche; non ci sono antecedenti che ci possano guidare se non visioni filosofiche e religiose nate ben prima che alcune scoperte scientifiche cambiassero le possibilità mediche.

Per quanto riguarda la vita embrionale c’è chi dice che si tratta di una vita vera e propria e come tale va difesa e chi sostiene che non lo è e che si può adoprare a piacimento.

C’è chi dice che il nascituro ha il diritto di nascere sempre e comunque e chi invece gli nega il riconoscimento di essere umano prima del novantesimo giorno di gestazione.

Per quanto riguarda il problema dei trapianti c’è chi nega la liceità dell’espianto da un individuo a cuore battente e chi, la maggior parte, accetta questa pratica come lecita in condizione di elettroencefalogramma piatto.

Per quanto riguarda la fine della vita si discute oggi se “eutanasia si oppure no”; se l’accanimento terapeutico possa essere considerato una inutile crudeltà o un doveroso compito; si distingue:

a) eutanasia attiva, in cui si provoca la morte con la somministrazione di sostanze tossiche;

b) eutanasia passiva, in cui si procura la morte sospendendo le cure;

c) suicidio assistito, in cui al malato vengono somministrati i mezzi per togliersi la vita.

Concetto antitetico è l’accanimento terapeutico, ossia il tenere in vita una persona morente e incapace di miglioramenti; oggi sembra che quasi tutto sia possibile tecnicamente e quindi sia giusto farlo.

La materia è indubbiamente complessa e poiché non ci sono prove assolute per una posizione, ogni posizione è degna di rispetto e deve essere valutata con scrupolo e gli eventuali punti di arrivo andrebbero considerati come compromessi e convenzioni.

Un aspetto fondamentale della bioetica è quello inerente l’autonomia del paziente; il paziente autonomo, cioè LIBERO, è quello che riflette sul proprio stato senza influenze esterne; ma quand’è che un paziente è veramente autonomo e libero? Chi lo decide? Forse il medico? Il giudice? Il parente? E questi sono veramente liberi? Si può dire “tu vuoi la morte perché non accetti con religiosa rassegnazione il dolore”?

Dopo queste considerazioni generali vorrei approfondire il discorso sull’eutanasia oggi drammaticamente alla ribalta.

Per eutanasia si intende un’azione od una omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, provoca la morte, allo scopo di eliminare il dolore.

L’eutanasia si situa quindi a livello delle intenzioni e dei metodi usati.

Una caratteristica definitoria dell’eutanasia è il suo obiettivo di ridurre la sofferenza.

Pazienti con dolore non controllato possono vedere nella morte l’unica fuga perseguibile.

E’ opportuno fare cenno al modo di pensare e di comportarsi che si è avuto nella storia:

nel giuramento di Ippocrate del 420 a.c. si legge che il medico non deve in alcun modo somministrare un farmaco letale o farmaci abortivi; nel codice di Ammurabi si legge che il suicidio era considerato con rispetto e l’assistenza a questo una pratica accettabile; nell’Antica Sparta i neonati deformi venivano soppressi e gettati dal monte Taigeto; il grande Platone ne “La Repubblica” afferma che la medicina deve lasciar morire i malati inguaribili senza tenerli artificiosamente in vita; nel mondo greco il sacrificio per la patria era venerato e portava al ricordo eterno; nell’Antico Testamento viene citato un caso di suicidio assistito, quello del Re Saul ad opera di un suo soldato, ma questi viene poi condannato a morte dal Re David; per Seneca l’uomo saggio vive finché deve e non finché può; nel XVI secolo il filosofo medico Francesco Bacone invitava i medici ad imparare l’arte di aiutare gli agonizzanti ad uscire da questo mondo con più dolcezza e serenità; il filosofo Nietzsche nel “Crepuscolo degli idoli” scriveva che il malato è un parassita della società e che in certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo; durante il nazismo Hitler avviò un programma che prevedeva l’eliminazione dei malati inguaribili; è doveroso ricordare che il padrone di un animale domestico sopprimeva la sua bestia quando questa era irrimediabilmente ferita.

Importanti le posizioni religiose.

Quella della Chiesa Cattolica espressa nel documento ufficiale della Congregazione della Fede è assolutamente contraria ad ogni forma di eutanasia; è però altrettanto contraria all’accanimento terapeutico.

Quella Musulmana, pur non essendoci un’autorità centrale a dettare le regole (vedi il codice islamico di etica medica – 1981), afferma che la legge divina non prevede la soppressione della vita per pietà; poi, continua, la cura è obbligatoria, ma il trattamento cessa di essere obbligatorio quando non lascia speranze ed il paziente è in stato irreversibile di perdita di conoscenza.

La Chiesa Anglicana per bocca di un eminente vescovo afferma che ci sono situazioni in cui per un cristiano la compassione debba prevalere sul principio secondo cui la vita va preservata a tutti i costi; l’alto prelato afferma che in alcune circostanze può essere giusto fermare o togliere una cura.

Per accanimento terapeutico si deve intendere un’ostinazione inutile e senza senso a proseguire le terapie, che si sono dimostrate gravose per il malato, per il fatto che non migliorano la sua condizione, né impediscono la morte per un tempo ragionevole, ma solo prolungano di qualche tempo la vita, imponendo al malato gravi sofferenze.

Come si vede le religioni considerate dicono un secco no all’eutanasia, ma aprono al rifiuto dell’accanimento terapeutico; c’è quindi una zona oscura dove le dottrine arrivano male, dove il confine tra eutanasia attiva (negata) e rifiuto dell’accanimento terapeutico (accettato) è molto sfumato e il giudizio è rimesso in definitiva ai medici.

Secondo la legazione italiana l’eutanasia attiva è assimilabile in genere all’omicidio volontario seppure con le attenuanti; in caso di consenso del malato si configura la fattispecie prevista dall’art. 579 del c.p., omicidio del consenziente, punito con la reclusione da 6 a 15 anni; anche il suicidio assistito è un reato, art. 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio).

Ritengo che si abbia il diritto/dovere di dissuadere un simile dal togliersi la vita, ma non credo si sia autorizzati ad impedirglielo, specie quando non di vita si tratta, ma di sopravvivenza; non è giusto che le scelte riguardanti la nostra vita siano fatte da governanti, medici, giudici, parenti.

L’ eutanasia passiva è permessa in ambito ospedaliero solo nei casi di morte cerebrale e devono essere interpellati i parenti, si richiede il permesso scritto del primario, del medico curante e di un medico legale; in caso di parere discordante fra medici e parenti si va in giudizio ed è il giudice a dover decidere.

Ci sono alcune osservazioni derivate dal comune buon senso che devono esser fatte.

1)    Il gamete maschile e quello femminile quando si incontrano danno già origine alla vita, che però non è autonoma e necessita del grembo materno;

2)    Abortire prima del terzo mese è consentito ed è legale, dopo no;

3)    Uccidere un vecchio, un centenario che non ha più speranza di vita a causa di patologia, è un omicidio volontario e come tale viene punito;

4)    Secondo la nostra legislazione staccare la spina ad un malato terminale, senza speranza, è considerato omicidio volontario;

5)    Per quanto riguarda il cosiddetto testamento biologico è doveroso ricordare che una dichiarazione di intenti e di intenzionalità non può dirsi esaustiva della volontà di una persona allorché sia espressa in tempi e circostanze diverse da quella cui sembra riferirsi, perché col passare del tempo potrebbe verificarsi un mutamento d’intenti; manca cioè la con testualità. Questo potrebbe bastare ad inficiare la validità di tale atto? Chi ci dice che un essere incapace di esprimersi non abbia, in quel momento, un’idea diversa da quella manifestata tempo addietro e in condizioni di salute?

La mia opinione è che la cosiddetta eutanasia è un problema più giuridico che etico; perché per parlare di etica è necessaria una condizione, la libertà di scegliere del soggetto; ma il malato che chiede di morire non è libero di scegliere essendo afflitto da dolore e depressione; è invece un problema giuridico e politico perché per legge dovrebbero essere definite tutte le situazioni in cui si può accedere all’eutanasia; per legge andrebbe tutelato il medico che per pietà stacca la spina o somministra sostanze mortali.

Anche su questo tragico tema si assiste ad un scontro politico a volte volgare, troppo spesso strumentalizzato dalle parti; non è obbligo che i cosiddetti cattolici siano tutti della stessa opinione e così pure i cosiddetti non credenti; sarebbe utile e proficuo liberare il modo di pensare da questi schematismi che riescono solo ad allontanare la risoluzione dei problemi.

Fr:.

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